Il mio COVID – dal 02/03/2020 al …

L’inizio sembrava buono ma poi si e’ trasformato in un incubo.

Pubblico questa memoria della mia avventura da Covid perche’ vedo le persone, soprattutto i giovani ripercorrere degli errori che possono portare molti di loro a conoscere personalmente quello che ho passato io…e che sto tuttora passando. Andra’ tutto bene, ma attenti perche’ non si sa quando il destino ti portera’ a pescare la pagliuzza piu’ corta.

La settimana bianca ad Alleghe.

Betta, io e Luna partiamo il 15 febbraio 2020 partiamo alla volta di Alleghe per la settimana bianca. Scio da solo tutta la settimana, vado sulla Marmolada, faccio il giro dei 4 passi per la prima volta senza che qualcuno mi faccia da guida.

Sono soddisfatto, ma rientriamo a Roma un giorno prima, il venerdi’ successivo perche’ non mi sento in gran forma.

E’ in questi giorni di vacanza che sentiamo parlare per la prima volta di una “influenza” particolarmente forte che viene dalla Cina. Ma la Cina e’ lontana, che importa a noi? Ahime, quanto mi sbagliavo!

Ho preso l’influenza?

Il sabato riprendiamo la vita di sempre, visto che siamo a Roma andiamo alla solita lezione di disegno e pittura con Loredana, la nostra maestra. Incontriamo gli altri allievi del corso ma, senza saperlo, osserviamo un corretto distanziamento (insomma, come ho saputo in seguito, ho causato tanto timore ma per fortuna non ho contagiato nessuno).

Arriviamo cosi’ a Domenica 23 febbraio. La mattina sarei dovuto andare in grotta con i miei amici ma devo rinunciare, ho la febbre.

Nei giorni successivi, visto che la cosa sembra essere persistente, sentiamo il nostro medico. Inizio a prendere l’antibiotico ma la febbre non cala, anzi.

Nel frattempo alla strana influenza cinese viene dato un nome, nemmeno brutto o temibile, Covid-19. Ne sentiamo parlare alla televisione, sentiamo che i primi focolai sono localizzati in Lombardia e in Veneto. Ci prende il sospetto che anche io lo abbia preso.

Giorni di panico, Betta ed io li passiamo letteralmente attaccati al telefono per cercare qualcuno che venga a visitarmi per capire cosa ho. Anche le istituzioni sono nel panico, e’ scoppiata la psicosi da pandemia mondiale e avere qualcuno che risponda al telefono e’ un’utopia.

Peggioro ancora. Betta si attacca al telefono con ancora maggior dedizione e riesce a scovare la guardia medica. Un medico a pagamento viene a visitarmi a domicilio e la sua diagnosi e’: polmonite.

E’ il venerdi’ 28, il dottore prescrive 2 tipi diversi di antibiotici, per bocca e per iniezioni, inizio la cura ma le mie condizioni peggiorano. Iniziamo a pensare che io abbia contratto il famigerato Covid-19. Facciamo una miriade di telefonate ma quando riusciamo a prendere la linea ci viene risposto che non e’ possibile che sia Covid. La situazione e’ grave e io peggioro ancora. Ma Betta non demorde, alla fine riesce ad ottenere che una ambulanza venga a prendermi.

Il ricovero allo Spallanzani.

Devo essere sincero, quello che vi dico da ora fino all’arrivo allo Spallanzani mi e’ stato raccontato da Claudia, io ho completamente rimosso. Il 2 marzo un’ambulanza viene a prendermi. Dapprima mi portano al Policlinico dove passo 6 ore in isolamento dentro una stanza. Ad un certo punto devono aver valutato che stavo seriamente male quindi decidono il mio trasferimento al reparto Covid dello Spallanzani. Mi rimane memoria solo di un viaggio tremendo in cui penso di aver fatto conoscenza con tutte le buche delle strade di Roma.

Allo Spallanzani un medico mi attende fuori, saliamo insieme per le scale antincendio. Il dottore mi spiega che il reparto Covid e’ completamente isolato dal resto dell’ospedale per evitare il diffondersi della malattia. Ricordo vagamente che si irrita assai quando barcollo e mi appoggio alla balaustra per non cadere.

In ospedale mi vengono fatti i primi prelievi e mi viene data una stanza. Ricordo solo che entrando il letto era a destra e il bagno a sinistra.

Dopo qualche ora viene un dottore che mi conferma: ho il Covid-19.

Per ora non c’e’ una cura ma tenteranno con le medicine anti-Hiv. E’ sconfortante ma sono troppo intontito per dolermene.

La prima notte la passo relativamente tranquilla, la sera parlo al telefono con Betta e le do la triste notizia. Probabilmente anche lei dovra’ fare dei controlli ma per il momento sembra stare bene. Ci preoccupa sapere che sia Claudia che Matteo hanno la febbre ma per ora il meglio che posso fare e’ incrociare le dita.

Il giorno dopo inizia la cura, delle pasticche dall’aspetto anonimo. Non mi sento poi tanto male, pero’ la tosse mi da’ molto fastidio.

Ma la mia e’ solo una illusione. In un paio di giorni la situazione precipita. Da questo punto in poi tutto diventa confuso. Betta in seguito mi racconta che la sera prima di essere portato in terapia l’ho chiamata ma non riuscivo a parlare per la troppa tosse.

La terapia intensiva

Il 5 marzo 2020 vengo portato in terapia intensiva e, credo, messo in coma farmacologico.

Mi “risveglio” il 28 marzo. Sono nella stanza sbagliata, e’ tutta al contrario, il letto e’ a sinistra rispetto alla porta. Noto che il bagno e’ alla mia destra ma non avro’ mai il piacere di utilizzarlo.

Come mai? La terribile sorpresa e’ che sono paralizzato!

Mentre io “dormivo”, a casa…

Mentre sono in terapia intensiva, a casa succedono molte cose.

Claudia e Matteo hanno la febbre, vengono portati allo Spallanzani. Per fortuna i loro tamponi, nonostante la febbre, risultano negativi. Se la cavano in 3 giorni. Siamo solo ad un piano di distanza ma non posso saperlo, sono in isolamento.

Quando loro escono e’ il turno di Betta che risulta positiva al tampone di controllo e quindi viene ricoverata anche lei allo Spallanzani. Per fortuna i tamponi successivi sono tutti negativi e in 4 giorni e’ libera.

Fuori dall’ospedale il mondo inizia a sperimentare il lock-down. Betta va a vivere questo periodo difficile a casa di Claudia e Matteo.

Mentre io “dormo” ignaro di tutto, la notizia della mia malattia si sparge tra amici e conoscenti. Per non tempestare la mia famiglia con le telefonate c’e’ Gabriele che si assume l’incarico di fare da addetto stampa.

Non finiro’ mai di ringraziarlo per questo. Grazie Gabriele.

In pratica formano una catena “corta”, Betta o Claudia ogni giorno parlano con i dottori, Gabriele parla con Betta e poi trasmette le nuove a tutto il resto dei miei amici.

Mi sembra questa un’ottima occasione per ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini.

Esprimo anche il biasimo assoluto per alcuni che si sono lamentati di non essere stati chiamati da me per avvertire che ero malato. Persone che tra l’altro non avevo nemmeno visto nel periodo critico! Il mondo e’ bello perche’ e’ vario, ma queste persone sono davvero troppo “varie”.

Prima di parlare del dopo terapia intensiva, ovvero della mia graduale rinascita, ancora in corso, vediamo cosa e’ successo durante il periodo di coma indotto.

Ad un certo punto la situazione si aggrava parecchio. Per alcuni giorni i dottori sono scettici sul fatto che io possa sopravvivere.

Ho una forte polmonite bilaterale, accompagnata da insufficienza renale e candida nel sangue.

Betta e Claudia in seguito mi raccontano che il tono del medico che le chiamava non faceva presagire nulla di buono. Anche in questo caso posso raccontarvi perche’ a loro volta mi hanno raccontato. Sapevo nulla, il mondo era spento, per me.

I polmoni sono degli straccetti quasi inutili. Si bloccano i reni e mi sottopongono a dialisi per 3 volte. Si blocca il midollo e mi devono fare 3 volte una trasfusione. Subisco una serie impressionante di cure ed esami, non per niente la cartella clinica che ritirero’ in seguito e’ di circa 400 pagine.

Una sera il dottore comunica a Claudia che sono in peritonite e dovrebbero operarmi…solo che se mi operano difficilmente potro’ sopravvivere perche’ sono troppo debole. Prima di operare tenteranno con i farmaci.

In questi primi giorni Betta e’ in isolamento per fare la necessaria quarantena ma quando Claudia riceve la terribile notizia, la “libera” e passano insieme la notte sul divano in attesa di sapere se sarei stato operato.

Mi sono accorto di nulla, ma alla fine pare che io l’abbia scampata, i farmaci fanno effetto, non vengo operato ed inizio un lento miglioramento.

Il risveglio

Nonostante tutto mi risveglio.

Sono nel letto “sbagliato” perche’ e’ girato dalla parte opposta rispetto a quello che ricordavo.

Di fronte a me ho un orologio a parete che sara’ la mia dannazione. In alto che pende dal soffitto c’e’ anche la televisione. Non riusciro’ ad usarla perche’ ho perso quasi completamente l’uso delle mani e le gambe sono anche peggio.

Ho molta confusione in testa per quel periodo. Ho vissuto per almeno un paio di settimane in 2 mondi paralleli quello reale e uno completamente inventato da me…ancora oggi faccio fatica a separarli nettamente. Devo dire pero’ che quello inventato da me era proprio migliore.

Il mio mondo parallelo

Dopo il risveglio passo un periodo davvero particolare, alterno momenti di lucidita’ a viaggi di fantasia, un mondo alternativo a quello reale.

Volete che vi racconti qualcosa del mio mondo fantastico? Ma si, dai. Ve ne faccio qualche accenno ma alla fine del mio racconto, se avrete pazienza potrete continuare con le mie avventure oniriche raccontate per intero.

Iniziamo con una breve parentesi per inquadrare la situazione.

Chiunque di noi sa come nei momenti difficili sia importante la vicinanza e l’affetto dei propri cari. La mancanza di questo fondamentale supporto e’ forse uno degli aspetti peggiori che i malati in questo periodo hanno dovuto sopportare.

Nei primi giorni sono stordito, solo, e completamente isolato dal mondo, ho il cellulare ma non posso usarlo, lo stesso per la televisione.

Saranno anche stati i medicinali, pero’ penso la mia testa abbia cercato rifugio da una realta’ che non voleva accettare.

Ed eccoci ai miei sogni. Non saprei come descriverli meglio, li chiamo sogni ma per me non sono stati dei sogni. Quello che vi descrivero’ io l’ho “vissuto”, per me era quello il mondo reale.

Attenti a non confondervi anche voi, quello che leggerete da ora in poi e’ frutto della mia fantasia.

Vi presento il mio mondo parallelo, andiamo ad esplorarlo assieme.

Da appena sveglio, per alcuni giorni sono stato convinto che mia madre, mia sorella e anche Luna fossero morte in un incidente d’auto. Conosco anche i minimi particolari, l’incidente era avvenuto sulla Tiburtina, dove inizia la salita per andare a Tivoli, di fronte all’ingresso delle terme dette “Bagni di Tivoli”.

Come se non bastasse sono convinto che Betta per telefono mi abbia comunicato una notizia altrettanto angosciante, mi ha lasciato e ora e’ fidanzata con un altro.

In compenso quasi ogni sera mi alzo dal letto, esco scendendo la scala antincendio, salgo in macchina, la smart di Claudia, e vado a prendere una birra con gli amici.

Vivo con dovizia di particolari e tanti pianti una festa aziendale per il mio rientro in servizio con tanto di abbraccio da parte dell’AD di Generali Italia. La festa si svolge su “Ondina”, il barcone sul Tevere di proprieta’ di Generali.

Solo piu’ tardi ho saputo che all’epoca del mio risveglio il suddetto barcone era gia’ andato distrutto in un incendio.

Un dottore inventa un disinfettante a base di varechina e lo sperimenta nella mia stanza. Io sono intollerante alla varechina e riesco a boicottare il rilascio della invenzione che doveva renderlo milionario. Mi prende in odio e inizia a tormentarmi con cure sadiche e dannose.

Il bello dei sogni e delle allucinazioni e’ che non devono essere coerenti.

Tra l’altro sono convinto che il medico in questione mi inietti di nascosto via flebo una medicina che causa la mia paralisi.

Questo delirio in particolare ha un risvolto reale.

Mentre sono perso in questa angoscia entra in stanza un nuovo infermiere per cambiarmi la flebo. Ricordo, iniziai ad urlare come un forsennato che non volevo fare la flebo.

L’infermiere all’oscuro del mio delirio rimane interdetto e dopo qualche tentativo infruttuoso se ne va. Ho pochi minuti per vivere l’euforia del successo quando ritorna con i rinforzi. Con un paio di colleghi a tenermi mi mette la nuova flebo, lasciandomi poi curato e scornato.

Ricado nel mio sogno. Il medico “cattivo” ha un’amante, finge di venire in stanza a visitarmi, lei entra dalla porta che da’ sul balcone e poi si mettono ad amoreggiare sotto il mio letto. Che sfacciati!

Accanto al mio letto c’e’ il macchinario per la dialisi, nelle mie fantasie si trasforma in una macchina che simula l’apparato digerente umano. Ogni tanto lo nutrono e lo mettono in moto, lui con vari borbottii digerisce il cibo. Tutto sommato e’ di compagnia.

Sogno molte storie di esplorazioni speleologiche con tanti cari amici. Faccio anche una immersione speleosubacquea in fondo alla Voragine di Monte Spaccato, una grotta profonda 90 metri. In una di queste avventure sono una delle cavie di alcuni scienziati che sperimentano la realta’ virtuale per far impazzire le persone. Un incubo nel sogno!

La mia stanza diventa un teatro per sordomuti dove vengono fatte delle rappresentazioni silenziose. Il pubblico non posso vederlo perche’ non riesco a guardare oltre la sponda del letto, ma sono la’, li posso percepire nettamente. E poi tutto intorno a me ho degli amici che si prestano a fare da attori, non posso sbagliarmi.

Gli infermieri che vengono nella mia stanza sono miei colleghi e conoscenti che hanno aderito ad un programma segreto. In pratica passano le proprie ferie in ospedale sotto falso nome per fare pratica come infermieri. Ma io non mi lascio ingannare facilmente. Alcuni li riconosco e li chiamo per nome. – Sssh! Si, sono io – mi dice Franca, – ma non lo devi dire a nessuno altrimenti mi cacciano! –

Spero che l’accenno al mio mondo parallelo vi sia piaciuto. Ci sono molte altre storie curiose, ora pero’ penso sia meglio tornare alla vita reale.

Inizia lo svezzamento

Come gia’ accennato il risveglio e’ uno shock, forse anche per questo il mio cervello si crea un mondo alternativo.

Mi trovo senza l’uso delle gambe, le mani riesco a muoverle solo lievemente, sono sempre sotto ossigeno. Prendo una infinita’ di medicine, iniezioni a sazieta’ e ho varie flebo attaccate alle braccia 24 ore al giorno.

Tutti i muscoli sono atrofizzati. Tra le tante conseguenze, non ci vedo bene, sono atrofizzati anche i muscoli che nell’occhio regolano la messa a fuoco, quando provo a leggere qualcosa vedo solo dei “bacarozzetti” in fila indiana. Ho anche difficolta’ a deglutire e questo mettera’ a dura prova la mia capacita’ di sopportare.

Per terminare ho 2 piaghe da decubito, una dietro la nuca e una sul lato del ginocchio. Di quest’ultima riparleremo in seguito in quanto ha avuto conseguenze notevoli.

Inizia un periodo tremendo, gli infermieri lo chiamano “svezzamento”. Devo essere imboccato per mangiare, sempre che nutrirsi di pappette semiliquide si possa dire mangiare. Il bere e’ l’aspetto piu’ terribile. Ho sempre una sete terribile ma posso bere solo alcuni cucchiaini di una sorta di gelatina d’acqua. Non potete sapere quanto sia terribile soffrire la sete, avere la bottiglietta dell’acqua sul comodino e non riuscire a prenderla.

Si, perche’ quando sei costretto a letto ed impossibilitato a muoverti, il tuo universo di restringe drasticamente a quello che puoi raggiungere muovendo le braccia, tutti gli oggetti non raggiungibili semplicemente non esistono oppure ti torturano da lontano.

Ricordo che quando gia’ stavo “meglio” litigai di brutto con una infermiera che mi spostava le cose portandole in posizioni che non potevo raggiungere.

Alle mie rimostranze, lei tutta piccata e offesa risponde alle mie proteste dicendo: ” Mi sembrava meglio cosi’. In trent’anni di servizio nessuno si e’ mai lamentato del mio lavoro”.

Alla fine, dopo qualche giorno, feci pace e trovammo un accordo. Pero’ devo essere sincero, sul momento avrei proprio voluto risponderle una cosa tipo: “Intanto provi una volta a ritrovarsi paralizzata e a vedere quanto e’ frustrante non poter raggiungere un qualcosa che le serve”.

A parte questo aneddoto, devo fare i miei piu’ sentiti ringraziamenti a tutti gli infermieri dello Spallanzani prima e del Santa Lucia poi, che come eroi in una guerra contro un nemico sconosciuto e temibile hanno rischiato le loro vite per curarci…e sopportarci.

Vita d’ospedale

In un paio di settimane riesco a recuperare un poco l’uso delle mani. Ancora non riesco a portare il cellulare all’orecchio ma posso parlare con i miei cari grazie al vivavoce. Betta mi rassicura con una calda risata quando le chiedo perche’ mi abbia lasciato per un altro. Mi racconta anche del fatto che Luna e’ viva e sta con lei. Mi tranquillizza sul fatto che mia madre e mia sorella godono di ottima salute…provo un gran sollievo…anche se fino a che non sento la loro voce al telefono un piccolo dubbio mi rimane.

Non mi vergogno a dire di avere avuto una crisi di profondo sconforto quando mi si spegne il cellulare per aver dimenticato di metterlo in carica. Per digitare il PIN all’accensione ci metto quasi un’ora. Il forte tremore delle dita viene interpretato dal touchscreen del cellulare come una digitazione veloce dello stesso numero. Ora posso riderne insieme a voi ma vi assicuro che sul momento e’ stato terribile.

Per sopperire alle mie difficolta’ “manuali” nel telefonare, Claudia mi procura uno di quei telefoni semplicissimi e con la tastiera bella grossa. Ora posso finalmente sentire di nuovo i miei amici e soprattutto la mia amata mamma e la mia sorellina. Qualche telefonata ce la piangiamo assieme con molta soddisfazione e sollievo.

A proposito di pianti, ogni mattina e ogni sera, o forse anche piu’ spesso, uno degli angeli che popolano gli ospedali viene a fare pulizie nella stanza e nel corridoio davanti la mia stanza. Per igienizzare usa la varechina. Come ho detto, sono intollerante a questo prodotto quindi per me ogni pulizia corrisponde ad un pianto dirotto. Tanto ho pianto e tanto ho chiesto di interrompere questo supplizio che alla fine gli angeli delle pulizie hanno cambiato prodotto. Grazie, grazie, grazie.

Il tempo passa inesorabilmente, scandito dalle lancette dei secondi del maledetto orologio che ho sulla parete di fronte.

Inizialmente contare i secondi, poi i minuti, poi le ore e’ stato il mio unico svago.

Le mie condizioni intanto migliorano, la saturazione sale, i polmoni riprendono a funzionare, le mani e le braccia tornano ad essere utili, la candida nel sangue viene sconfitta da flebo immense di antibiotici.

Posso finalmente bere, che gusto! Inizio a mangiare senza bisogno di essere imboccato. La minestra me la sbrodolo addosso quasi tutta ma e’ una soddisfazione indicibile portare da solo il cucchiaio alla bocca. Per tagliare una fettina di pollo posso metterci anche mezz’ora ma riuscirci e’ motivo di orgoglio. L’unica cosa che non riesco a fare e’ togliere il sigillo di plastica incollato ai piatti. Per quello devo ancora farmi aiutare. Lo stesso per aprire le infide bottiglie d’acqua col tappo perfidamente avvinghiato alla bottiglia.

Se le braccia migliorano ogni giorno di piu’, le gambe pero’ sono ancora inerti. La gamba sinistra e’ quella messa peggio. In pratica, mi spiegano i medici, una piaga da decubito, io l’ho sviluppata durante la terapia intensiva, causa la necrosi dei tessuti dove si forma. La mia si e’ formata in corrispondenza del nervo che comanda buona parte dei muscoli della gamba, al lato del ginocchio. Che piaga birichina.

Le gambe, un tormento non poterle muovere.

Ricordo di quella volta che mi usci’ un piede fuori dalle coperte. Provai per un tempo lunghissimo a rimettere il mio dannato piede sotto le dannate coperte, mi addormentai sfinito e sconfitto.

Ho fatto una miriade di esami durante la malattia, molti non li ricordo ma altri invece li porto stampati in mente.

L’elettromiografia e’ fastidiosa, con quegli aghi che vengono conficcati nei muscoli. Se poi il responso e’ che i muscoli della gamba sinistra sono completamente inerti, sembra anche un supplizio inutile.

Ma questo puo’ sembrare un semplice fastidio se paragonato a un esame che ho temuto davvero, tanto da supplicare il dottore di non farmelo.

La broncoscopia con pulizia dei polmoni annessa.

In pratica ti mettono un piccolo “aspirapolvere” nei polmoni e risucchiano tutte le sporcizie che trovano. Di queste robe estratte ne fanno la coltura per vedere cosa si annida nei polmoni.

Tremavo e tremo al solo pensiero di questo esame.

Il dottore pero’ e’ veramente ammirevole. Mi dice che sicuramente l’esame non lo avrei fatto. Mantiene questa versione fino a quando vengono gli inservienti addetti a spostarmi con tutto il letto fino al laboratorio, dove i miei polmoni verranno violentati.

Anche il dottore che mi fa l’esame e’ impeccabile. Dapprima mi stordisce con non so quale medicinale in vena, dopo mi fa bere un liquido amaro quasi come il Fernet e poi…mi risveglio di nuovo in stanza! Tanta paura per nulla.

Ho sempre detestato dormire disteso a pancia in su. Naturalmente durante la degenza in ospedale ho dovuto necessariamente farlo. Una volta, con una fatica infernale son riuscito a girarmi sul fianco destro. La soddisfazione ha presto lasciato il posto a un dolore lancinante allo stomaco. Ululando dal dolore mi rimetto in posizione canonica e chiamo gli infermieri. L’indomani il dottore mi riferisce il suo responso. Ho la “sabbietta” nella cistifellea. Girandomi sul fianco questa e’ andata ad ostruire il condotto che porta allo stomaco dandomi i dolori. Inizio la terapia per evitare altri problemi simili. Non mi faccio mancare nulla.

Le gambe continuano ad essere inerti, pero’ in compenso, se qualcuno prova a muoverle facendomi piegare le ginocchia avverto dei dolori incredibili a queste ultime. Ogni giorno, piu’ volte al giorno grazie alle pappette che mangio, i poveri infermieri devono assolvere all’ingrato compito di pulirmi quando il mio intestino decide di aver terminato il suo lavoro.

Ora, dovete sapere che fare la pulizia di una persona semi paralizzata e’ una cosa laboriosa e comprende il girare il paziente prima su un fianco, poi sull’altro. Come fanno gli infermieri a portare sul fianco uno che non ci riesce autonomamente? Intanto ce ne vogliono 2 per fare le cose a modo. Uno dei due afferra il paziente per una spalla, per una gamba e lo tira a se per portarlo su un fianco. L’altro infermiere approfitta per fare le necessarie pulizie. Nulla di male se il malcapitato non soffre di dolori articolari. Ogni pulizia per me equivaleva a dei dolori inimmaginabili e mi producevo in delle urla strazianti, sicuramente apprezzate dai miei eroici pulitori.

Di positivo c’e’ che questo dolore mi ha costretto ad imparare in fretta a girarmi in maniera autonoma, dandomi modo nel contempo di rafforzare le braccia.

Volete sapere di un altro cruccio impensabile? Non riuscire piu’ ad aprire la bottiglietta dell’acqua. Non potete capire quanto sia frustrante.

Delle soddisfazioni incredibili? Dovete sapere che la mia stanza e’ separata dal corridoio da ben 2 porte. Tra le 2 porte c’e’ uno spazio dove dottori e infermieri si vestono per entrare e svestono per uscire. Quando c’e’ pericolo di contagio le porte sono chiuse e ti viene tolta anche la minima parvenza di realta’ costituita dal passaggio delle persone per il corridoio. Vedere il dottore che apre le porte e attacca su quella esterna il cartello “NO COVID”, e’ una gioia. Quel cartello me lo guardo spesso e ogni volta mi da’ sollievo e sicurezza.

Intanto il tempo passa, inesorabilmente lento, ma passa…

Inizio la fisioterapia

Arriva il momento in cui vengo dichiarato abbastanza in forze da iniziare la fisioterapia.

Oltre al piacere di iniziare a sperimentare nuovamente una sorta di movimento, ho anche una bella sorpresa. Entra nella stanza una bella ragazza, bella nonostante tutta la bardatura anti Covid.

Non la riconosco ma lei si, e si presenta con entusiasmo, e’ Novella, una speleo che ho conosciuto tempo prima durante alcune riunioni della SSFSL (acronimo per intendere la Scuola di Speleologia della Federazione Speleologica del Lazio).

Nei giorni successivi attendo con ansia il suo arrivo, ogni tanto al posto suo arrivano suoi colleghi, ma sono tutti simpatici e preparati.

Una delle ultime volte che incontro Novella, mi regala una sensazione meravigliosa, con molto mestiere e un poco di forza riesce addirittura a mettermi in piedi. Per qualche istante medito se svenire dalla contentezza ma poi decido di godermi da sveglio la posizione eretta. Certo le gambe sono ancora inerti ma rivedere il mondo stando in piedi e’ una soddisfazione difficile da esprimere.

Alcuni grazie

Ho un altro santo, ovvero santa, da ringraziare. Si tratta di Paola, mia cugina. Lavora presso lo Spallanzani e tramite il passaparola tra amici e parenti viene a sapere che sono ricoverato li’.

Mi rintraccia dandomi poi aiuto come meglio ha puo’. Grazie Paola, grazie grazie.

Altra gioia immensa, incomparabile, che mi ha aiutato a sopportare la depressione da lungodegente la devo alla lungimiranza del dottore che mi aveva in cura. Ha saputo capire che anche gli eventi che ristorano l’animo sono medicine formidabili.

In pratica, avendomi visto molto giu’ di morale per la paralisi e gli infiniti giorni di letto, trova il modo affinche’ Betta e Claudia possano venire a trovarmi. Senza toccarci, certo, bardate come astronauti, sicuro, ma sono qua e posso parlarci. Un’altra felicita’ che puo’ capire solo chi ha vissuto situazioni simili, e non siamo pochi, purtroppo.

Grazie infinite dottore, lo ricordero’ finche’ avro’ respiro.

Gli ultimi giorni allo Spallanzani

Oramai ho quasi esaurito il racconto del periodo passato allo Spallanzani.

Nella lista dei malanni devo aggiungere solo fastidi di poco conto, quali una flebite al braccio sinistro a causa degli aghi delle flebo.

Vi racconto un avvenimento che mi ha tenuto freneticamente sulle spine per giorni con crolli emotivi e momenti di esaltazione.

L’antefatto. A meta’ aprile il dottore decreta che potro’ lasciare l’ospedale non appena mi verra’ trovato posto in una clinica riabilitativa. Potete immaginare la mia contentezza, sembra pero’ sia una cosa lunga e dagli esiti incerti.

Betta e Claudia si attivano per trovare una soluzione, anche io mi spremo le meningi per trovare il modo di passare alla seconda fase della mia guarigione.

Un guizzo di genio mi colpisce. Io ho una assicurazione che dovrebbe coprire queste sfortunate evenienze. Con Claudia e i miei colleghi di lavoro, che ringrazio infinitamente e con tutto il cuore, parte una catena di solidarieta’.

Pian pianino cadono ad uno ad uno tutti gli ostacoli che si frappongono tra me ed il “rilascio”.

Alla fine la clinica che mi accetta e’ il “Santa Lucia” e il giorno del trasferimento deciso per il giorno 27 aprile.

Il giorno del trasferimento viene definito intorno al 20 aprile. I giorni successivi sono un tormento indicibile, la maledetta lancetta dei secondi del maledetto orologio da parete andava ancora piu’ lenta del solito.

Cosa poteva mai impedire il mio trasferimento? Cosa se non una ennesima conferma della validita’ della legge di Murphy.

Il 25 mattina mi sveglio con la febbre!

E’ terribile. Le porte di nuovo chiuse per prudenza. Vivo un incubo da sveglio. Dopo i controlli si scopre l’arcano. Il catetere, il mio fastidiosissimo ed indesiderato catetere ha portato a una infiammazione delle vie urinarie. Da qui la febbre. Vivo i giorni che mancano al 27 in uno stato d’ansia come non mai.

Per mia buona sorte, una volta tolto il catetere, gia’ il 26 pomeriggio sono senza febbre. In piu’ posso verificare che il mio apparato urinario anche se lungamente offeso da un invadente intruso ha ripreso a fare il suo dovere senza problemi.

Sembra una inezia ma ora posso utilizzare con piena soddisfazione il pappagallo, il povero “animale” ospedaliero dal mestiere ingrato.

I saluti e il trasferimento

Il 27 arriva. L’orologio e’, se possibile, ancora piu’ lento. Non posso nemmeno battere i piedi per l’impazienza!

Uno alla volta vengono a salutarmi tutti gli angeli, medici ed infermieri che sono stati il mio mondo in questi lunghi giorni.

Una delle dottoresse, quasi piangendo dalla commozione, mi da’ una informazione che mi colpisce. Sono la quinta persona che viene dimessa dal reparto Covid Spallanzani. Tolti i primi 2 che sono cinesi e quindi fuori “gara”, posso ritenermi sul podio!

Finalmente altri angeli con la tuta arancione arrivano a prelevarmi. Parto per una nuova gita in ambulanza.

Anche questo viaggio in ambulanza e’ disagevole assai ma gusto con stupore da nuova vita ogni buca che incontriamo per la strada. Quando arriviamo sbarcano la barella dall’ambulanza e posso degustare come un dolce squisito il breve tragitto all’aria aperta.

Ho la gioia di vedere il mondo, quasi come un neonato.

Arriviamo al sesto piano di uno dei palazzi che formano la monumentale clinica. Sara’ la mia casa nei prossimi mesi.

Il mio nuovo indirizzo e’ “stanza 619”.

Sono solo in stanza anche se i letti sono 2. Mi mettono in quello piu’ vicino alla finestra. Faccio conoscenza col sollevatore, un aggeggio a batteria che solleva i degenti immobilizzati tramite un bozzolo di robusta stoffa. Con lui, il sollevatore, avro ‘ un rapporto di amore-odio perche’ mi permette di muovermi dal letto ma e’ doloroso e poco dignitoso.

Una volta a letto mi ritrovo stanco come se avessi corso una maratona. Ma al Santa Lucia sono efficienti e vogliono iniziare subito la riabilitazione. Per questa volta pero’ mi concedono il lusso di fare terapia a letto. La notte dormo soddisfatto anche nella posizione scomoda a pancia in su.

Nei giorni successivi la fisioterapia la faro’ in palestra, uno stanzone di un centinaio di metri quadri con 2 pareti a vetrata, ingombro di macchinari al centro e contornato da lettini da fisioterapia, di quelli che si alzano e abbassano.

La palestra e’ popolata da circa una dozzina di formidabili professionisti che a turno si prendono la briga di riabilitare i casi tragici che vengono portati loro quotidianamente.

Una volta una di loro, mentre urlavo dal dolore, mi disse: “Fa piu’ male a me che a te”. Non le ho potuto credere nemmeno per un secondo, pero’ mi ha fatto sorridere e per un attimo dimenticare il dolore.

Ripreso dalla stanchezza da trasferimento, inizia una routine quotidiana scadenzata da vari eventi.

La mattina presto un paio di iniezioni, poi la colazione e quindi le medicine.

La fisioterapia e’ laboriosa e inizia con il trasferimento tramite sollevatore dal letto alla sedia a rotelle. Segue la bardatura con il camice verde ed i guanti e poi via in palestra.

Di nuovo il sollevatore dalla sedia al lettino da fisioterapia. Manipolazione sapiente da parte dei terapisti, e ancora sollevatore da lettino a sedia.

In stanza poi arriva il momento piu’ temuto, la dolorosissima rieducazione allo stare seduto.

Stare seduto, e che ci vorra’ mai?

La prima volta penso di essermi fatto sentire da tutta la clinica. Dopo nemmeno un quarto d’ora urlavo per un dolore in tutto il corpo che partiva dalle natiche fino ad arrivare al cervello.

Non riuscivo piu’ a rimanere seduto. Per tenere sollevati i glutei avevo “finito” anche le braccia. Stavo meditando su come fare per buttarmi a terra e dare termine alla sofferenza quando gli infermieri vengono a rimettermi a letto. Il salvifico pranzo e’ infine arrivato.

Nei giorni successivi gli infermieri mi ripetono piu’ volte quanto sia necessario, ma il dolore delle prime volte lo ricordo ancora con vividezza.

Anche qua in clinica si ripete il rito della pulizia post bisogni pero’ ora sono in grado di girarmi da solo e dopo le prime urla strazianti anche gli infermieri di qua imparano a non toccarmi le ginocchia.

Faccio un inciso a proposito di pulizie, ricomincio a lavarmi i denti, una delizia. Pensavo sarei rimasto sdentato causa il lungo periodo di trascuratezza, e pensare che prima non riuscivo a dormire se non li avevo lavati. Una cosa meravigliosa riscopro al Santa Lucia, una volta a settimana mi viene fatto il bagno.

Il bagno, la prima volta dopo la rinascita, e’ stato una sensazione indicibilmente goduriosa, anche se dovevo stare nudo al cospetto di almeno 3 persone…Il senso del pudore si modifica notevolmente quando sei in ospedale.

Naturalmente il bagno ha una evoluzione nel tempo. Da paralizzato mi sollevano dal letto fino a una barella coi bordi alti appositamente modificata per essere riempita d’acqua. Ho ancora brividi di piacere a ripensare al primo contatto dell’acqua sul corpo.

Si, rinascere comporta un sacco di “prime volte”, quindi perdonate se mi ripeto.

Quando sono stato in grado di alzarmi e fare il “passaggio” dal letto alla sedia ho potuto provare la “comoda”, una sedia in plastica su cui ti siedi per essere portato in bagno a fare la doccia. Prima con l’aiuto degli infermieri e in seguito da solo. Non fatevi ingannare dal nome “comoda”, quella sedia di comodo ha ben poco, pero’ serve egregiamente allo scopo.

L’ultimo passo e’ stato il piu’ bello. Quando sono stato in grado di andare in bagno camminando e farmi la doccia da solo. Un successo memorabile.

Col progredire della mia mobilita’ un bel giorno ho potuto affrancare me e gli infermieri dalla pulizia post bisogni. Una vera liberazione per tutti, per me sicuramente.

La prima volta sulla tazza mi sono reso conto di quanto fossi dimagrito. Ho dovuto sedere tenendomi con le mani sulla tavoletta, ero troppo smilzo e ho seriamente rischiato di cadere dentro la tazza.

Dimenticavo di dire, nella mia stanza non c’e’ nemmeno l’ombra di un orologio a parete. Ne sono contento, non so perche’ ma ho sviluppato una seria antipatia per quei cosi…

Ma riprendiamo a raccontare della mia giornata tipo. Dal pranzo in poi posso dormire, sfinito dalle attivita’ mattutine. C’e’ solo una breve pausa per le medicine e un paio di iniezioni sulla pancia.

Nel periodo di immobilita’ inganno il tempo con la televisione. Inizio a guardarla anche se ho a disposizione non piu’ di 5 canali. Mi ritrovo sempre su un canale con uno strano reality in cui un uomo ed una donna completamente nudi devono sopravvivere per 21 giorni nella giungla. Mi sembra insensato, per loro farlo e per me guardarlo, pero’ non essendoci di meglio me lo faccio andar bene.

Scopro su internet i video di cucina e mi ci appassiono. Li guardo dal cellulare ma non riesco a lungo, mi si affaticano gli occhi. Ogni tanto leggo, ora se mi sforzo qualche lettera fa capolino tra i “bacarozzetti” in fila indiana.

La sera e’ allietata da lunghe telefonate da parte dei miei cari e dei miei amici. La notte dormo bene ma sempre a pancia in su.

Dopo i primi giorni arrangiati le mie sante protettrici, Betta e Claudia, mi forniscono di tutto. Ho magliette e biancheria a non finire, ho la mascherina per non avere continuamente negli occhi la luce del corridoio, sempre accesa per motivi di sicurezza.

Sperimento anche l’uso dei calzini elastici, sono dannatamente difficili da mettere pero’ aiutano la circolazione dei mie poveri piedi.

Nei primi giorni al Santa Lucia sono ancora gonfio in tutto il corpo ma in qualche maniera gli infermieri riescono a farmi calzare le scarpe. In un primo tempo servono a poco, pero’ danno una parvenza di normalita’.

Quando dico gonfio, intendo ben gonfio, inizio a perdere liquidi con la fisioterapia e calo di almeno 10 kg, anche le scarpe ora mi entrano senza difficolta’.

Il tempo passa, faccio terapia dalle 2 alle 3 volte al giorno, mi stanco come non mai, i progressi pero’ si vedono. Come gia’ accennato, con l’aiuto degli infermieri imparo a fare il “passaggio”, cioe’ a scendere dal letto, alzarmi in piedi e mettermi sulla sedia a rotelle. Il restare seduto e’ sempre doloroso ma sopportabile.

In palestra muovo i primi passi, o meglio, imparo con difficolta’ a stare in piedi. Ho sempre il problema dei polpacci accorciati e non riesco a poggiare i talloni a terra. Insieme al rimettermi in piedi, l’allungamento dei muscoli del polpaccio e’ il principale lavoro che ci occupa nella terapia. Tra mille urla e fallimenti, facciamo progressi.

Quando il terapista di turno mi dice che sono pronto a passare al deambulatore farei i salti di gioia, se potessi. Il deambulatore e’ una specie di gabbia metallica con le rotelle e un lato aperto, ci entri dentro, appoggi le mani alla gabbia e col suo valido sostegno puoi camminare. E’ amore a prima vista, mi da’ sicurezza. Inizio a fare qualche passo col mio fido deambulatore in giro per i corridoi.

Al mio arrivo al Santa Lucia mi mettono subito un braccialetto. Sara’ per riconoscermi, penso. Mi sbaglio. Il braccialetto e’ colorato, il mio e’ giallo, indica il rischio che ho di cadere e farmi male. Giallo=rischio alto. Dopo un mesetto circa sono promosso al braccialetto verde. Appena messo faccio una videochiamata a Betta e Claudia mostrando loro con malcelato orgoglio il mio nuovo braccialetto, segnale tangibile di rinascita in corso.

Tutta questa agitazione per una striscia di plastica intorno al polso, direte. Eh, si. Il braccialetto verde indica che posso fare cose impensabili con il braccialetto giallo. Per esempio posso alzarmi dal letto in autonomia e, pensate, andare al bagno senza dover avvertire prima gli infermieri!

Scopro che al primo piano del palazzo dove siamo, c’e’ il bar. Mi faccio spiegare piu’ volte la strada per arrivarci e poi mi avventuro. Non e’ difficile, esci dalla stanza e vai a destra fino alla palestra, giri ancora a destra e poi in fondo fino agli ascensori, ne prendi uno e scendi al primo. Segui i cartelli per la Cappella, quando sei costretto giri a sinistra e sei arrivato. La prima volta compro nulla perche’ non ho un centesimo, pero’ la soddisfazione per esserci arrivato e’ grande. Faccio i calcoli, tra andata e ritorno ci metto quasi un’ora e mezza. Faccio in tempo in tempo a tornare per le medicine del pomeriggio.

Inizio con tanta soddisfazione ad alzarmi per mangiare pranzo e cena al tavolino. La colazione continuo a farla a letto…e quando mi ricapita!…e poi la vestizione e’ ancora molto laboriosa e faticosa ma cerco di farla da solo, anche se questo sembra infastidire un po’ gli infermieri.

Col sopraggiungere del caldo, finita la vestizione devo mettere su una maglietta asciutta perche’ sudo come una fontana per il caldo e per lo sforzo nel vestirmi, ma lo faccio volentieri.

Dopo il deambulatore, che saluto quasi con nostalgia, il terapista di turno mi propone le “canadesi”, ovvero le stampelle. Sono al settimo cielo! Le mie incursioni al bar diventano quasi quotidiane, e’ iniziata la primavera e dal bar si accede ad un ampio spiazzo esterno con tante sedie, una pacchia. Betta e Claudia mi fanno arrivare anche dei soldi cosi’ ogni tanto premio le mie discese al bar con un gelato o altra leccornia. Ora con le canadesi sono molto piu’ veloce, impiego circa mezz’ora tra andata e ritorno, posso prendermela comoda.

Altro passo gigante verso l’emancipazione e’ quando scopro che posso scendere le scale ed evitare l’ascensore. Certo e’ impegnativo e le ginocchia continuano a farmi un male boia, pero’ riesco a scendere e salire 5 piani di scale, incredibile!

La mia fisioterapia e’ concentrata su 2 obiettivi, quello primario, rimettermi in piedi, l’altro riallungare i muscoli dei polpacci. Infatti la lunga permanenza a letto li ha fatti ritirare tantissimo ed ora “cammino” in punta di piedi come una ballerina classica. Tra il dolore alle ginocchia, un po’ di mal di schiena e le necessarie torture per allungare i polpacci sono uno di quelli che urlano di piu’ in palestra. Ogni tanto i terapisti rimangono interdetti, sorpresi da tanta manifestazione di dolore ma li prego sempre di continuare senza tener conto delle mie urla. Se servono per tornare a camminare, ben vengano tutte le sofferenze di questo mondo.

Oltre alla terapia motoria faccio anche quella polmonare. Almeno in quella sembro andare benone. Faccio amicizia con Gabriele, il mio terapista per i polmoni. Viene in stanza ed insieme a lui faccio esercizi per riabilitare la capacita’ polmonare. Durante questi esercizi mi accorgo di un dolore al braccio destro che diventera’ sempre piu’ importante.

Continuo le mie incursioni al bar. INganno il tempo leggendo e prendendo il sole nello spiazzo antistante il bar. Una volta spostandomi con la sedia perdo l’equilibrio e cado. Mi procuro una bella escoriazione su un gluteo. mi rialzo “di corsa” cercando di fare finta di nulla ma so che tutti mi stanno guardando. E’ li’ che noto per la prima volta Felice, un omone con una voce adeguata alla corporatura che mormora una cosa tipo: “guarda quello che e’ caduto”. La cosa mi mortifica, pero’ sul momento cerco solo di minimizzare l’accaduto facendo finta di nulla. Il mio terrore e’ che una caduta possa farmi ritornare al famigerato braccialetto giallo.

Quando torno in stanza devo dirlo alla infermiera di turno perche’ comunque scoprirebbe la ferita nel farmi l’iniezione. Quando mi controlla mi fissa inorridita e poi senza commentare passa a medicarmi. Per fortuna la cosa non sembra avere conseguenze “di braccialetto” ma solo la riprovazione piu’ o meno esplicita di infermieri e terapisti per la mia scarsa cautela.

Dopo quel giorno quando vado al bar, invece di stare per conto mio a leggere, mi fermo volentieri vicino al cerchio di persone che hanno assistito alla mia caduta e mi metto seduto con loro a chiacchierare. In questa maniera conosco varie persone, ognuna con alle spalle una storia penosa quanto la mia e un lungo periodo di riabilitazione davanti. Umanamente sono tutte gran belle persone, pero’ in particolare stringo amicizia con Felice ed Antonio, forse perche’ anche loro sono al sesto piano e frequentarsi fuori orario da bar e’ piu’ semplice.

Con gli “amici del circoletto”, come chiamo i miei nuovi amici, imparo che gli “inciampi” della vita possono essere i piu’ svariati e che addirittura il mio caso non e’ tra i peggiori. Questo non consola molto ma ti fa sentire meno solo.

Nuove avventure

Ora che ho scoperto il bar e sono diventato “smart” con le stampelle inizio a esplorare i dintorni. In fondo allo spiazzo c’e’ una discesa ripida da dove arrivano i camion che riforniscono il bar. Deve essere un punto di contatto col mondo esterno, penso. La discesa mi incute timore, il rischio di cadere all’andata o di non riuscire a fare la salita al ritorno e’ non nullo, per non dire alto.

Passo qualche giorno a studiare la discesa, la saggio, la valuto, continuo a salire e scendere le scale per allenamento.

Un bel giorno rompo gli indugi. Saluto i miei amici avvertendoli dove sto andando e poi mi avventuro. La discesa e’ dura, ma ce la faccio. Dopo una curva a destra ed un tornante a sinistra mi ritrovo in una zona che non conosco. in fondo ad un’ulteriore discesa si vede l’uscita su strada. A sinistra c’e’ un parcheggio per chi si reca agli ambulatori subito accanto.

Mi beo per un paio di minuti del nuovo panorama, poi mi giro con l’aiuto delle fide stampelle e torno dai miei nuovi amici.

Ora che un nuovo mondo si e’ aperto a me, ho molte simpatiche novita’ da sperimentare. Posso fare passeggiate piu’ ampie.

Soprattutto ora posso dire ai miei amici “esterni” come fare a venirmi a trovare. Le prime persone ad usufruire del “trucco” sono naturalmente Betta e Claudia. La voglia di abbracciarle quando le vedo e’ tale che mi metterei a piangere…e forse l’ho anche fatto.

Dopo di loro ho rivisto con piacere immenso anche Angelica e subito dopo anche Gabriele e Giuseppe, un periodo di grandi emozioni.

Una rinascita implica anche questo.

I ragazzi del circoletto e la festa

Con i ragazzi del circoletto decidiamo di rompere la monotonia del ricovero organizzando un pranzo da fare tutti assieme allo spiazzo del bar. Sarebbe proibito ma ci proviamo ugualmente. Tra noi c’e’ chi si occupa di procurare cibi vari perche’ nella vita “normale” era nel ramo della ristorazione. Chi e’ senza qualifica, come me, si occupa di dare una mano. Alla fine tutto e’ organizzato. Avremo tante cose buone da mangiare. I piatti forti saranno 2, una porchetta fatta espressamente per noi e una quantita’ industriale di mozzarelle di bufala.

Il giorno della grande abbuffata da bravo dimenticarello faccio confusione e prendo anche appuntamento con Angelica per vederci. Rimedio al problema facendo la fusione dei 2 incontri. Invito Angelica a partecipare al pranzo. Tutto va per il meglio per almeno un paio d’ore, il tempo di spazzolare via la maggior parte del cibo. Dobbiamo interrompere il nostro festino quando arrivano le guardie giurate a farci una severa ramanzina. Angelica viene subito identificata come intrusa e invitata ad andarsene. Noi veniamo minacciati di pesanti ripercussioni.

Quando le guardie giurate si allontanano tentiamo di riprendere come se nulla fosse ma oramai l’atmosfera si e’ guastata e c’e’ del nervosismo. Accompagno Angelica al parcheggio e poi do una mano a sparecchiare e far sparire le prove del misfatto.

Una bellissima festa con tanti amici, allietata da una bella ospite. Peccato sia stata rovinata sul finale.

Arriva il giorno del mio compleanno. Speravo vivamente di passarlo a casa tra i miei cari ma sembra che tra me e la liberta’ si frappongano i tutori.

I tutori sono dei sostegni, chiamati anche “molle” che aiutano le persone con i miei problemi a tenersi in piedi. L’iter per averli e’ lungo, molto piu’ lungo di quanto pensassi. Ancora una volta viene in mio soccorso l’assicurazione, che col supporto dei miei colleghi si interessa per farmeli avere.

Il 16 giugno, giorno del mio 57esimo compleanno lo passo in ospedale. Inizialmente pensavo lo avrei passato sconsolatamente da solo ma poi Betta e Claudia decidono di ribellarsi all’ingrato destino di isolamento e di venire a festeggiare con me. Claudia prepara una bellissima, quanto buona, torta alla frutta e poi ci incontriamo clandestinamente al bar.

Le vado a prendere al parcheggio poi andiamo allo spiazzo del bar, un poco appartati, e festeggiamo il meglio possibile. Spengo anche le candeline e apro i regali.

Un compleanno coi fiocchi che dura fino a quando una guardia giurata passa dandoci occhiate poco incoraggianti. La festa termina ma non posso lamentarmi.

Dopo Betta e Claudia, non ancora sazio di festeggiamenti, arrivano a trovarmi Gabriele e Matteo, a loro offro un gelato ma io mi astengo. Ho mangiato quasi meta’ della crostata fatta da Claudia e mi sembra di scoppiare…non sono piu’ abituato ai bagordi. Anche con loro la visita e’ breve, dopo un poco le guardie giurate iniziano a darci sguardi nervosi.

Abbraccerei i miei amici perche’ non potevano farmi regalo piu’ bello, ma non si puo’, li riaccompagno alla macchina e li vedo andar via con molta gratitudine e un po’ di nostalgia.

Nei giorni seguenti allargo sempre piu’ le mie passeggiate fino a fare il giro completo del complesso di edifici del Santa Lucia. Una bella soddisfazione. Ogni tanto mi scordo l’appuntamento pomeridiano per le medicine e le mirabili infermiere del sesto piano sono costrette a cercarmi per tutto il Santa Lucia…e quando mi trovano non sono nemmeno irritate.

Nei giorni che seguono il mio compleanno vengono a trovarmi altri cari amici, Rosa, Stefano ed Emilio. Anche loro dopo nemmeno mezz’ora vengono cacciati con ignominia ed io riaccompagnato a viva forza alla mia stanza con nuove minacce di pesanti ripercussioni.

Col caldo, si sa, arrivano gli insetti. Una notte mi sveglio di soprassalto con degli scarafaggi che mi girano sulla pancia. Mi metto in caccia e ne trovo ben 3. Li metto dentro un pezzo di carta e la mattina dopo li mostro all’infermiera di turno. La vedo ben scossa ma subito si riprende, si sbriga a sequestrarmi i cadaverini e a far venire il disinfestatore.

Con l’andare dei giorni cresce l’amicizia con i miei compagni di (dis)avventura e di piano, Felice ed Antonio. Decidiamo di pranzare e cenare assieme tutte le volte che possiamo. In breve diventa una bella consuetudine. Attendiamo che il pranzo arrivi nella nostra stanza e poi ci trasferiamo tutti da Felice per mangiare. Gli infermieri sembrano accettare la cosa di buon grado e addirittura dopo le prime volte sono loro a portare il nostro vassoio direttamente in camera di Felice.

I tutori

Arriva luglio e arrivano i tanto sospirati tutori. Li provo e…mi si apre un mondo! Con la dovuta attenzione riesco anche a fare alcuni passi senza stampelle. Triplo hurra’!!!

Certo la camminata e’ rigida e mi merita l’appellativo di “robocop” da parte degli infermieri, pero’ sono contentissimo.

Nei giorni seguenti affronto i dottori ed estirpo loro una data di dimissione. E’ deciso, il 6 luglio terminera’ la mia detenzione. Non sono guarito, pero’ ora mi sento in grado di affrontare la vita reale. Ci sono un miliardo di cose da fare prima del 6 luglio, ma incredibilmente con l’aiuto dei miei angeli custodi, Betta e Claudia, la benevolenza di tutti gli infermieri e magari un pizzico di fortuna, riusciamo a fare tutto per tempo. Betta nel frattempo ha fatto 2 piccoli miracoli, ha recuperato dallo Spallanzani i miei effetti personali e ha preso contatti col Policlinico Italia, a 2 passi da casa, per continuare subito la fisioterapia.

A casa, finalmente.

Il ritorno a casa mi sembra un sogno. Il giorno fatidico saluto tutte le persone che riesco e promuovo la mia sedia a rotelle a carrello. Faccio una piramide con tutti i bagagli e con i miei fidi tutori indossati mi avvio trionfante per il corridoio che porta agli ascensori. Al piano terra, prudentemente all’esterno, trovo Betta e Claudia ad aspettarmi. Carichiamo la piramide in macchina, saluto la mia sedia a rotelle e andiamo. A casa, a casa, a casa. Non mi sembra vero, a casa con i miei cari. Si, proprio a casa, finalmente.

Fisioterapia al Policlinico Italia e vacanze.

Sono a casa, si, ma i malanni sono ancora con me.

Cosa mi e’ rimasto post Covid? Una stanchezza tremenda, la gola e’ delicata, basta un odore forte a farmela dolere.

Ho una sorta mal di gola perpetuo che il dottore dello Spallanzani mi aveva prospettato come una conseguenza del Covid.

La spalla destra e’ peggiorata fino a bloccarsi quasi completamente. Al Santa Lucia avevo altre priorita’ ma ora devo risolvere questo problema perche’ e’ diventato invalidante anche questo.

Ho la mano sinistra parzialmente insensibile. Ho entrambi i piedi insensibili nella parte anteriore, dalla punta della dita su fino al sotto il ginocchio. Ancora mi reggo in piedi solo con le stampelle o con i tutori e non ho molta forze sulle gambe.

Al Policlinico Italia il primo mese lavoriamo sulla spalla con tecar e movimentazione, molto dolorosa, ma necessaria.

Poi luglio finisce e andiamo in vacanza.

Vacanze a Marina di San Nicola

Arriva agosto. Con Betta, Claudia e Matteo partiamo per le vacanze. Per l’occasione le passeremo assieme. Andiamo a Marina di San Nicola dove passeremo una tranquilla vacanza all’insegna del recupero dallo stress da Covid. Anche qua ricevo delle gradite visite da parte dei miei amici. Viene Angelica in una delle rare pause del suo lavoro al Circeo. Vengono anche Valentina e Matteo ad allietare il nostro soggiorno.

Per il resto mi gusto appieno la liberta’ ritrovata e do libero sfogo a tutte le fantasie gastronomiche sviluppate durante il ricovero.

Ogni mattina Betta, io e Luna andiamo a fare una “lunga” passeggiata di almeno 300 metri. La prima volta impiego quasi un paio d’ore a completare il giro ma non demordo. A fine mese riesco a dimezzare i tempi. In un mese cado solo un paio di volte e senza farmi troppo male, sono i rischi da mettere in conto nello sperimentare la mia recuperanda mobilita’.

Fisioterapia al Policlinico Italia e ritorno al lavoro.

Il primo settembre siamo di nuovo a casa. Riprendo a lavorare, ma da casa, in smart working. In questo non si percepisce la differenza con i miei colleghi, infatti tutta l’azienda e’ in smart working. Mi trovo bene a fare di nuovo qualcosa, riprendo contatto con i colleghi e mi occupo la giornata, anche se mi stanco molto.

Riprendo anche con la fisioterapia, sempre incentrata sul recupero della spalla destra, sempre dolorante e poco mobile.

Insieme ai miei amici speleo riprendo anche a fare passeggiate, che noi chiamiamo pomposamente ricognizioni, per cercare nuove e vecchie grotte. Camminare su terreni sconnessi, e’ un ottimo allenamento, mi confermano i terapisti. Certo, e’ una fatica immane e ci metto dai 2 ai 3 giorni a riprendermi dalla passeggiata, pero’ lo faccio ugualmente con tutto l’impegno di cui sono capace.

Marzo 2021, un anno dalla rinascita.

Tra lavoro e fisioterapia arriviamo a marzo 2021 e sommessamente festeggio un anno dalla mia rinascita a nuova vita. C’e’ poco da stare allegri, una estate di follia collettiva ci ha portati di nuovo tutti nel caos da Covid e quindi a nuove restrizioni.

Con i nuovi esami medici che faccio in questo periodo ho una amara sorpresa, i miei reni si sono troppo stressati e ora funzionano al 50%. Devo iniziare una dieta iposodica che e’ complicata dal mio problema pregresso col colesterolo. Con molta tristezza riduco drasticamente il cibo e rinuncio quasi completamente ad alcolici, cioccolata e salumi. Per il resto continuo ad avere la mano sinistra, il dorso di entrambi i piedi e gli stinchi parzialmente insensibili. La stanchezza e una sorta di mal di gola cronico mi tengono buona compagnia. Ho dolori e crampi micidiali e molte cose che facevo ora non riesco piu’ a farle…pero’ non demordo.

…e intanto il vento soffia ancora…

Il mio percorso non e’ terminato e ancora non si intravede il traguardo.

Pero’ ora credo che il traguardo possa esserci e sicuramente faro’ del mio meglio per arrivarci.

Andra’ tutto bene, pero’ mi raccomando, fate attenzione.

Nel frattempo e’ con gioia che riprendo a terminare i miei sproloqui con un beneaugurante: Alla prossima!

Racconti dal mio mondo parallelo

Premessa – Come promesso dopo la nuda e cruda realta’ eccoci pronti per le mie avventure fantastiche, ovvero il mio mondo parallelo.

Ve le racconto volentieri, ma non vi aspettate alcuna coerenza in buona parte di quel che leggerete. La mente va dove vuole, quello che escogita non sempre ha un senso e non sempre e’ piacevole. Inoltre, andando a rispolverare i ricordi mi sono accorto che alcuni “episodi” non hanno una fine compiuta ma questo e’ solo un altro aspetto della onirica incoerenza del mio mondo.

Ci tengo a precisare che a tutti i personaggi “buoni” che conoscerete ho dato i nomi di miei amici o parenti ma quasi mai nei sogni rappresentano loro stessi. I personaggi negativi invece sono un parto della mia fantasia, soprattutto il medico cattivo che vi presentero’ tra poco.

Ci tengo a precisarlo perche’ i medici che ho conosciuto nella realta’ sono persone fantastiche e gli infermieri lo sono stati altrettanto se non di piu’. Approfitto per ringraziarli ancora.

Ho collocato temporalmente questi viaggi fantastici nei primi giorni dal risveglio. Non sono certo di aver immaginato o sognato tutto in quel periodo, magari le prime puntate le ho vissute quando ero ancora in coma, non lo so.

Adesso, nei limiti della mia memoria, andremo a rivivere assieme i miei vaneggiamenti. Anche se cerchero’ di tenere un tono distaccato da vero narratore, quello che leggerete io l’ho vissuto.

In quel momento quando succedevano cose, le piu’ strane, per me era quello il mondo reale. Gli episodi sono spesso intrecciati tra loro e in qualche caso si miscelano creando uno scenario complesso. Nei limiti del possibile ho cercato di separarli o di dar loro una sequenza coerente.

Tralascio di parlare nuovamente del sogno che ha avuto come protagoniste mia madre, mia sorella e anche Luna. Ho ancora in mente la visione di loro dopo l’incidente e non ne rinnoverei oltre il ricordo.

Sogni piacevoli – Quasi ogni sera mi alzo dal letto, esco scendendo la scala antincendio e salgo in macchina. La macchina non e’ la mia ma curiosamente e’ la smart bianca di Claudia, la riconosco dagli adesivi sul vetro posteriore. Frugo in tasca e magicamente ci trovo le chiavi. Metto in moto e in un attimo sono a San Lorenzo. E’ una birreria che conosco da molti anni e mi ci ritrovo con tanti amici per una birra. Stranamente sia gli amici sia il viaggio di ritorno sono indistinti.

La festa aziendale – Una sera la passo in maniera differente, sono ospite d’onore a una festa aziendale per festeggiare il mio rientro in servizio. La festa si svolge su “Ondina”, il barcone sul Tevere di proprieta’ di Generali. Ci sono tutti i miei colleghi e tanti amici e conoscenti, vengo presentato da Alessandro con un bel discorso e al termine abbraccio tutti, persino l’AD di Generali Italia. Piango a dirotto e intanto cerco di fare un discorso per salutare tutti. Piango per la commozione ma anche perche’ sono ancora convinto di essere orfano di madre e sorella oltre a essere single mio malgrado. Cerco di raccontarlo ai miei ospiti ma il piango tramuta le mie parole in un borbottio spezzato dai singhiozzi. Per fortuna capiscono nulla mi sarei vergognato troppo a mettere cosi’ in piazza i miei dolori. Dopo un breve silenzio imbarazzato da parte del mio pubblico, il mio discorso termina cosi’, tutti si avvicinano cercando di consolarmi, un bagno di comprensione che mi rianima non poco. La cena e’ a buffet, tutto buono, altro che le pappette che mi propinano all’ospedale! Bevo un po’ di vino, ma con moderazione, sono ancora convalescente. Al termine della cena mi concedo anche il lusso di un ottimo caffe’ corretto con la grappa, che delizia. Il ritorno al mio letto d’ospedale e’ indistinto ma di sicuro in qualche maniera avviene. Grazie a tutti per la splendida festa.

Il dottore cattivo – Anche il mio mondo parallelo prende atto che sono in ospedale e impossibilitato a muovermi. Nasce cosi’ un ambiente ospedaliero centrato attorno al mio letto. Mi creo anche un cattivo da detestare. E’ un dottore. Il dottore, il mio nemico, vuole brevettare un disinfettante di sua invenzione, a base di varechina. E’ a buon punto, vuole terminare la sperimentazione nella mia stanza. Io sono intollerante alla varechina e, non so come, riesco a boicottare e bloccare il rilascio della invenzione che doveva renderlo milionario. Questo mefistofelico dottore mi prende in odio e inizia a tormentarmi con cure sadiche e dannose. Sono sempre sotto flebo, le sostanze che mi iniettano sono di vari tipi dopo giorni di studio e ho notato che in corrispondenza di un certo tipo di flebo mi si bloccano di piu’ le gambe, tanto che devo saltare degli appuntamenti in birreria con gli amici. Questa cosa mi fa disperare ma non riesco a fermare il dottore perche’ aspetta che io mi assopisca per avvelenarmi la flebo. Ogni giorno il dottore ordina agli infermieri di negarmi l’acqua ho una sete terribile ma non mi fanno bere, tutta colpa sua. La sera tardi viene pure a trastullarsi con la sua amante sotto il mio letto, me ne accorgo perche’ “dopo” si fumano anche la classica sigaretta. Non sopporto la puzza e le loro risatine.

Il dottore “cattivo” non e’ l’unico ad animare le mie giornate, mi pare di notare che alcuni infermieri hanno una faccia conosciuta. Una in particolare la conosco bene e la chiamo per nome – Sssh! Si, sono io – mi dice Franca sussurrando – ma non lo devi dire a nessuno altrimenti mi cacciano! –

Dopo questo episodio viene a trovarmi un pezzo grosso dell’ospedale. Si presenta come il responsabile dei progetti speciali. Immaginate la mia sorpresa quando mi trovo davanti Gabriele. E’ con altre persone quindi anche sono sbigottito faccio di tutto per nascondere quello che mi passa per la mente. Lui finge di visitarmi poi con una scusa manda via tutti – Si, non ti sei sbagliato, sono io, Gabriele – esordisce – pero’ qua in ospedale sono conosciuto con un altro nome e rivesto un ruolo importante – e conclude – poi ti spieghero’ meglio –

Voglio assolutamente aiuto da lui contro il dottore che mi angaria, vorrei trattenerlo tenendolo per il camice, peccato le mie braccia si rifiutino di eseguire questo banale comando. Ho parecchie cose da dirgli ma va di fretta, deve andare, ha un miliardo di cose da fare. Mi prende il cellulare e vi memorizza il suo numero segreto raccomandandomi di chiamarlo solo per le emergenze. Detto questo viene nuovamente raggiunto dai suoi assistenti ed esce dalla mia stanza. Nei giorni successivi torna di soppiatto nella mia stanza e mi racconta che e’ lui ad aver organizzato il corso da infermieri per varie persone tra cui i colleghi che ho riconosciuto. In pratica e’ stato fatto un bando per uno stage atipico. Le persone che aderiscono sospendono temporaneamente il loro lavoro e si mettono in ferie. L’organizzazione messa in piedi da Gabriele fornisce loro una falsa identita’ e li inserisce a fare praticantato come infermieri in vari ospedali. Unica regola inviolabile, la loro vera identita’ deve rimanere segreta. Gabriele mi racconta che anche Giuseppe ha aderito al progetto pero’ ha preteso un impiego nel reparto contabile dell’ospedale, che lui non ama stare in primo piano. Se ci sara’ occasione verra’ a trovarmi anche lui, ma e’ difficile trovare un pretesto.

Intanto le malversazioni del dottore cattivo continuano, sapendo quanto io ne soffra, fa lavare per terra con la varechina dalle 3 alle 5 volte al giorno, in pratica ho gli occhi gonfi e piango sempre.

Un bello scherzo – Un bel giorno viene in mio aiuto Elisabetta, una speleo che conoscevo di vista. Si presenta con 2 dei suoi figli, alti, dinoccolati e allegri, somigliano ai fratelli di Ron, l’amico di Harry Potter. Il loro abbigliamento e’ particolare, tutti e tre indossano la casacca del Soccorso Alpino. Come riescano ad entrare non e’ dato saperlo, pero’ ad un tratto si materializzano nella mia stanza. I ragazzi si occupano della macchina “digestiva” che e’ accanto al mio letto, Si, la conosciamo tutti, e’ una macchina che simula le funzioni dell’apparato digestivo umano, ne avrete sicuramente viste in giro per il mondo parallelo! Modificano in qualche modo la macchina mentre Elisabetta si informa sul mio stato di salute. Sa tutto sul dottore e vuole fargli uno scherzo. I ragazzi terminano la modifica alla macchina “digestiva”, la mettono in moto e vanno a nascondersi con la madre sopra il soppalco che pensavo fosse il soffitto della mia stanza. Hanno con loro un telecomando di cui non conosco la funzione. Tutto tace, solo la macchina borbotta soddisfatta delle proprie funzioni. Arriva il mio torturatore. Ha con se varie siringhe, flebo, tamponi vari, un po’ di tutto per recarmi dolore e fastidio. Succede in un attimo, si ferma a guardare la macchina digestiva e questo lo perde. La saggia macchina termina di borbottare e con un gorgoglio soddisfatto sputa in faccia al dottore tutto il contenuto delle sue interiora. Sopra il soppalco sento delle risatine, mi metto a ridere anche io er coprirle. Il dottore si mette ad urlare infuriato, la macchina sputa di nuovo e per poco il getto non lo coglie in bocca. Arrivano frotte di infermieri, lui se ne va urlando. Viene ripulito tutto, con la varechina, nemmeno a dirlo. La macchina digestiva viene portata via, non la rivedro’ piu’, peccato era una simpatica compagna di stanza. Elisabetta e i figli scendono dal soppalco che ancora ridono. Li ringrazio e poi scompaiono misteriosamente come sono arrivati.

La compagnia teatrale – Tra una cattiveria e l’altra del dottore rivedo Gabriele, nel frattempo si e’ fatto crescere un barbone enorme, assomiglia ad un Babbo Natale giovane, non ancora imbiancato. Il progetto con gli infermieri “finti” procede a gonfie vele quindi Gabriele ha proposto un nuovo progetto ed e’ stato incaricato di porlo in atto. Ha messo insieme una particolarissima compagnia teatrale, verranno messe in scena delle commedie per sordomuti. La mia stanza fungera’ da teatro. Alla mia destra dove c’e’ la porta viene allestita la platea, il mio letto e la parte alla sinistra saranno il palco. Non dobbiamo nemmeno fare le prove, siamo gia’ pronti per la prima. Il mio letto ha di lato delle sponde molto alte, le ha fatte mettere il dottore per non farmi alzare. In questo caso sono utili perche’ mi nascondono dal pubblico e posso partecipare alla rappresentazione senza essere visto. Alla prima rivedo con piacere anche Giuseppe ma e’ troppo preso dalla recitazione per salutarmi. Capisco, l’arte prima di tutto. Iniziamo, il pubblico rumoreggia battendo i piedi. I dialoghi sono sostituiti da cartelli, sono io che li gestisco. La trama non la ricordo per nulla, pero’ mi diverto un sacco e anche il pubblico sembra apprezzare. Solo al termine c’e’ un attimo di smarrimento quando mi chiedono di alzarmi…ci provo ma non ci riesco, ci deve essere lo zampino del medico cattivo. Fa nulla, saluto dal letto. Il mio pubblico apprezza ugualmente.

L’orologio e i cartelli – Dell’orologio vi ho gia’ parlato. E’ di fronte a me, imperturbabile nel suo scandire i secondi fregandosene della mia esasperazione. E’ sulla parete di fronte a me leggermente alla mia sinistra, lo devo guardare per forza, e’ alienante guardarlo ma e’ anche una delle poche distrazioni che ho. A completare il panorama della parete di fronte c’e’ il televisore su un braccio snodabile, in alto a destra. Sotto al televisore un tavolino, alla sua sinistra una sedia. Al centro di tutto un cartello che recita una cosa del genere: “E’ severamente vietato salire in piedi sul tavolino, anche per raggiungere il televisore”. Inizialmente non lo leggevo con chiarezza e sono stato giorni a chiedermi cosa volesse comunicarmi di importante il cartello. Osservandolo con attenzione, ho molto tempo per farlo, lettera dopo lettera lo decifro. Ci ho ragionato su parecchio sulla frase, se una cosa e’ vietata non trovo motivo di rafforzare il concetto e dire che lo e’ “severamente”. Cosa vuol dire, che ci sono cose vietate ma non cosi’ tanto? Boh non mi sono mai chiarito questa cosa. Fatto sta che l’orologio e il cartello partecipano ad un mio sogno. La mia stanza, dopo gli spettacoli teatrali e’ frequentata da varie persone, alcuni sono ciechi, altri sono sordomuti. a prescindere da questo alcuni sono alquanto scalmanati. I ragazzi ciechi tastano la parete cercando l’orologio tramite il suo inesorabile “tac”. Li vedo che poggiano le dita sul vetro dell’orologio e poi dicono l’ora agli altri. Chiedo a quello che mi e’ piu’ vicino come facciano a leggere l’ora. Presto detto. Quello e’ un orologio speciale per ciechi, nel vetro davanti ha un buco in cui loro possono sentire la posizione delle lancette. In piu’ la lancetta dei secondi, ora che me lo dice riesco a vederlo, in alcuni momenti del suo giro fa degli scatti piu’ ampi. Se conti quegli scatti ti dicono che giorno della settimana e’, uno per il lunedi’ fino al 7 per la domenica. Ne rimango colpito, pur osservandolo tutti i giorni per piu’ ore al giorno non mi ero accorto che fosse un orologio cosi’ particolare. I ragazzi scalmanati vogliono assolutamente vedere la televisione ma non trovano il telecomando, vorrei vedere, ce l’ho io nascosto sotto le coperte. In barba al divieto assoluto si arrampicano prima sulla sedia e poi sul tavolino per manovrare il televisore, non si accorgono del caos e del rumore che fanno, tanto che alla fine gli infermieri arrivano e li fanno sgombrare. Certo, erano un poco confusionari ma rompevano la monotonia, ancora una volta mi ritrovo solo con il mio inesorabile orologio speciale ed il cartello minaccioso ed irridente.

Tentativo di fuga – Ad un certo punto sono proprio esasperato da questo perfido dottore, cerco di chiamare Gabriele al suo numero segreto ma il suo telefono risulta irraggiungibile. Una volta sola riesco a prendere la linea ma e’ disturbatissima e Gabriele capisce poco di quel che dico. Gli sussurro ma vorrei urlare -portami via da qua, in qualsiasi maniera, non ce la faccio piu’ – chiudiamo la telefonata, o meglio, cade la linea. Sono rincuorato da una tenue speranza. Qualche giorno dopo si presenta in stanza un nuovo infermiere, si solleva la barba finta e mi fa l’occhiolino, e’ Giuseppe. Nei pochi momenti in cui siamo soli riesce a dirmi che Gabriele e lui stanno organizzando la mia fuga, di tenermi pronto.

Qualcosa va tremendamente storto ma non riusciro’ mai a scoprire cosa. Le incursioni punitive del dottore continuano, ora faccio piu’ fatica a muovere le mani, chissa’ cosa mi ha iniettato. Quando riprendo un poco il controllo delle mani provo a telefonare di nuovo a Gabriele, non ho piu’ campo. Nei giorni che seguono capisco che il tentativo di fuga e’ fallito, il dottore durante una visita si premura di raccontare agli infermieri che lo accompagnano che un dirigente dell’ospedale e un funzionario della contabilita’ sono stati allontanati per cause imprecisate. Sono definitivamente isolato e disperato.

Per fortuna il dottore ha altri impegni, convegni e seminari, oltre a quello di infierire su di me. Quando il dottore non c’e’, non riesce a drogarmi abbastanza da rendermi immobile. Io naturalmente in quei casi faccio quello che mi pare piu’ giusto in quel momento. Questo comprende alcune gite in grotta che ho il piacere di raccontarvi.

Immersione in grotta – Sono alla Voragine di Monte Spaccato, vicino Tivoli, per una immersione sul fondo della grotta. Questa avventura inizia che sono gia’ al fondo della grotta con tutta l’attrezzatura necessaria. Mi accompagna il figlio di uno speleo. Questo ragazzo e’ rimasto paralizzato alle gambe dopo un incidente. In fondo alla grotta un’ampia cengia prelude ad un lago sotterraneo, un sifone. Il ragazzo che mi accompagnera’ in immersione non puo’ camminare, infatti e’ sceso in grotta sulla sedia a rotelle. Io invece si, sto benone, potenza del mondo parallelo. Io e lui ci prepariamo e andiamo in acqua mentre il padre ci aspetta sulla cengia. La coerenza nel mondo parallelo e’ scarsa infatti il mio compagno di immersione in acqua pinneggia senza difficolta’. L’acqua e’ fredda e cristallina, ci addentriamo verso una parete di fronte a noi, sara’ distante una cinquantina di metri. Mentre avanziamo inizia a scarseggiare la luce, accendiamo le nostre torce subacquee, potentissime. Sulla parete si intravede una prosecuzione ma e’ ostruita da un masso di forma regolare. Andiamo vicino per osservare la prosecuzione e la pietra che occlude il passaggio. Siamo eccitati, dopo si riesce ad intravedere una sala. Andiamo ad osservare con attenzione la pietra che ci impedisce di passare. Con stupore notiamo che e’ tonda, una specie di enorme ruota in pietra. Non e’ naturale, e’ sicuramente un manufatto, sulla superficie della ruota, sotto uno strato di mucillagine si intravedono delle figure scolpite, siamo molto incuriositi, proviamo a spostarla ma la ruota e’ veramente enorme, troppo pesante per noi. Torniamo indietro per spiegare la situazione al padre del mio amico. Non chiedetemi come, ma nel frattempo siamo stati raggiunti anche dalla madre. Sono entrambi speleo anche loro ma non fanno attivita’ da qualche tempo, pero’ ora hanno vesti “normali”, senza traccia di attrezzatura. E’ particolare come cosa, visto che siamo ben 90 metri sottoterra, ma d’altronde, se il figlio ha potuto scendere con la sedia a rotelle… Raccontiamo della nostra scoperta. Il padre ha pronta la soluzione, cerca di parlare per spiegarci mentre la madre, in apprensione per il figliolo, lo interrompe in continuazione. Tra le mani del padre si materializza un martinetto idraulico. Ce lo consegna tra le proteste della madre, con quello riusciremo sicuramente a spostare la ruota di pietra. Torniamo alla ruota. Con qualche sforzo e uno scalpello, che evidentemente avevamo gia’ portato con noi, creiamo uno spigolo sul lato della ruota, vi incastreremo il martinetto. Detto fatto, il martinetto e’ in posizione, azioniamo a turno la lunga leva che permette di estenderlo, la ruota si muove, dalla maschera del mio amico vedo il suo viso congestionato dall’eccitazione ma il mio non deve essere migliore. Si e’ formato un pertugio di dimensioni percorribili. Il martinetto e’ di ingombro, blocchiamo la ruota in posizione con un cuneo e lo togliamo. Torniamo di nuovo indietro per dare la buona notizia ai genitori del mio amico. E’ proprio lui, emozionatissimo, a dare la notizia ai suoi. La madre e’ sempre di piu’ in apprensione, ascolta il figlio facendogli nel contempo mille raccomandazioni, il padre sembra soddisfatto, ci racconta che anche lui quando era piu’ giovane aveva tentato di organizzare una simile immersione senza riuscire poi a farla. Torniamo di nuovo alla ruota. Facciamo qualche verifica, sembra tutto a posto. Tentiamo il passaggio. Seduto sul fondo del lago sotterraneo, o sifone che dir si voglia, ci togliamo le bombole dalle spalle e andiamo. Lascio al mio amico l’onore di passare per primo. Si affaccia, dopo la strettoia lo spazio si allarga subito in una ampia sala. Passa le bombole dentro e poi passa anche lui. Appena lo vedo scomparire lo imito. Che stupore! Il mio amico e’ immobile e illumina il fondo della sala, dove prima le nostre luci non arrivavano. Quella che in origine era la sala di una grotta era stata trasformata in uno splendore dorato, chissa’ quando, chissa’ da chi. Il pavimento sembra mattonellato da lingotti d’oro, le pareti anch’esse dorate riportano immagini scolpite con antica maestria. Se non fossimo dove siamo ci sarebbe da pensare alla sala funebre di un faraone egizio. Per il resto la sala e’ spoglia, non ha altri arredi, ma gia’ cosi’ e’ stupefacente. Rimaniamo alcuni minuti a guardare l’insieme, rapiti dalla bellezza di quel che vediamo ma e’ il manometro delle bombole che ci fa urgenza. Siamo passati da tempo dalla prima alla seconda bombola e anche la seconda si avvicina pericolosamente al termine della sua capacita’. Il mio amico e’ restio ad andare, vuole stare ancora la’. Mi fa cenno di iniziare ad andare io. Lo accontento. Vado all’ingresso della sala e faccio il passaggio all’inverso. Mentre mi giro per aspettare il mio amico vedo con sgomento la sua mano togliere il cuneo che ferma la ruota. Senza fermo la ruota torna al suo posto originario chiudendo il passaggio. Freneticamente cerco il martinetto ma e’ scomparso, il mio amico ha pensato a tutto. Provo a spostare la ruota con tutte le mie forze, nulla da fare, la ruota e’ bloccata. Dal piccolo buco rimasto aperto vedo uscire il braccio del mio amico, la sua mano mi fa il segno di ok. Tiro fuori la lavagnetta, scrivo solo: “PERCHE’ ?” e gli passo la lavagnetta. Dopo qualche secondo me la ritorna e leggo quel che ha scritto: “Rimarro’ per sempre paralizzato, ne ho avuto conferma poco prima di questa fantastica immersione. Preferisco che la mia avventura su questo mondo termini in questo luogo meraviglioso, non ho rimpianti. Abbraccia i miei.”. Ci stringiamo le mani, io piango ma lui sembra sereno. Abbiamo qualche minuto d’aria, non di piu’. Quando sono quasi a rischio, lo lascio. Piango ancora risalendo in superficie. La madre solo vedendomi capisce, ne aveva il presentimento. Anche il padre sembra sapere ma e’ rassegnato. Entrambi scompaiono mentre esco dall’acqua ma sento ancora a lungo le urla strazianti della mamma del mio amico che echeggiano per la grotta. Ricordo di essermi “risvegliato” alla realta’ piangente e molto agitato. Ho impiegato giorni a razionalizzare quanto immaginato per catalogarlo come fantasia. Il mondo parallelo puo’ risultare estremamente spiacevole.

Incontri inaspettati – Siamo di nuovo alla Voragine di Monte Spaccato. Non so come mai questa grotta sia cosi’ presente nel mio mondo parallelo, l’ho frequentata molto poco rispetto ad altre grotte, pero’ cosi’ e’ e cosi’ vi racconto.

Dovete sapere che questa e’ una grotta particolare, una spaccatura che entra inclinata nella montagna e scende per ben 90 metri. Anticamente i romani la sfruttavano come cava di pietra. Per accedervi e poterci lavorare avevano scavato dei gradoni.

Ora dei gradoni rimane solo una vaga traccia ma nel mio mondo parallelo sono ancora praticabili. In questa mia avventura onirica scendo nella grotta a piedi e ad ogni gradone, tipo girone dell’inferno dantesco incontro vari personaggi.

Incontro persone da sole o a piccoli gruppi. Le conosco tutte piu’ o meno bene. L’impressione e’ di fare un salto indietro nel tempo ed essere in un’epoca “sessantottina”. Incontro molti di loro in gruppi di 3 o 4 persone. In alcuni casi sono seduti sui sassi e fumano una “sigaretta” passandosela dopo ogni tiro. Con alcuni di loro scambio qualche parola, altri li saluto ma non mi fermo. Lentamente continuo la discesa.

Sono sull’ultimo dei gradoni ma non sono in fondo, per scendere oltre dovrei mettere una corda, mancheranno almeno 30 metri.

Dietro di me sembrava esserci nessuno, ma mentre osservo il pozzo, sento chiamarmi. Da una nicchia nascosta dal buio della grotta escono 2 miei amici, Maria e Gianni.

Li vedo con piacere e li raggiungo per parlare con loro, sono entrambi molto piu’ giovani di quanto io non ricordi. Chiacchieriamo del piu’ e del meno, nemmeno ci fossimo incontrati al bar per l’aperitivo.

Dalle chiacchiere generiche passiamo a parlare di dove siamo e perche’. Io posso dire poco, in effetti non so perche’ mi trovo in questa grotta e la sto scendendo. Gianni e Maria invece mi raccontano che per loro la discesa nella grotta e’ un appuntamento fisso che rinnovano una volta l’anno.

Oggi ricorre la data in cui Gianni ebbe un incidente su corda, mentre risaliva. Anche se noto un poco di imbarazzo, Gianni gentilmente mi ricorda la sua disavventura. La storia la conoscevo vagamente, ma lo ascolto comunque con interesse. Negli anni ’70 la speleologia stava vivendo un appassionante evoluzione nelle tecniche di progressione passando dall’uso delle scalette per scendere e salire i pozzi, alle corde e la relativa attrezzatura. Gianni era tra coloro che sperimentavano la nuova tecnica. Come tutte le novita’ tecniche doveva ancora essere affinata nella sicurezza, non ci si curava molto se la corda sfregava sulla roccia. Fatto sta che Gianni quel giorno stava risalendo un pozzo utilizzando la nuova tecnica su corda. A meta’ salita la corda cede improvvisamente, per fortuna senza spezzarsi, facendolo precipitare per 3 o 4 metri. Dopo l’iniziale spavento ed il sollievo per essere ancora vivo, Gianni riesce a trarsi d’impaccio e completare la salita. Una brutta disavventura, per fortuna senza conseguenze.

Alla fine del racconto mi spiega anche il motivo del suo imbarazzo. Io non ricordo, mi dice, ho dimenticato a causa dello shock. Il suo incidente l’ho causato io attrezzando la corda in maniera approssimativa e pericolosa. Rimango ad ascoltarlo sgomento, Maria e’ accanto a lui e mi guarda con un poco di disapprovazione. Sono dispiaciuto ed e’ il mio turno per essere imbarazzato. Borbotto qualche scusa. Gianni bonariamente le accetta, ci abbracciamo. Dopo questo chiarimento Maria e Gianni prendono commiato e iniziano a risalire scomparendo presto nella luce sfolgorante dell’esterno.

Una volta uscito dall’ospedale, alla prima occasione ho raccontato questa curiosa storia ai protagonisti, Gianni e Maria. Dopo una allegra risata Gianni ha confermato che sarebbe stato impossibile, il fatto e’ accaduto a fine anni ’70 e io ho iniziato ad andare in grotta solo nel 1985. Al mondo parallelo importa poco essere cronologicamente coerente.

Realta’ virtuale coatta – Secondo la mia fantasia siamo ancora una volta alla Voragine di Monte Spaccato. Pero’ stavolta la grotta invece di essere la spaccatura che e’, si e’ trasformata in un profondo e largo cilindro che scompare dentro la terra. Per farvi un’idea, un posto simile al Pozzo d’Antullo, presso Collepardo (se non lo conoscete vi consiglio una visita). Sono in una clinica ricavata in un ampio incavo sulla parete verticale della grotta, una vetrata gigantesca maschera l’incavo. I gestori la clinica sono Mattia, esperto di realta’ virtuale, e Luca, medico e chimico. Si sono alleati per creare un luogo dove sperimentare gli effetti della realta’ virtuale su dei lungodegenti. Io sono una delle loro cavie. Sono in un letto, immobilizzato mani e piedi, in faccia ho un visore che mi proietta continuamente in nuove situazioni, in testa mi sono stati applicati dei sensori per misurare le mie reazioni.

Al braccio ho una flebo con una sostanza che induce allucinazioni e rende ancora piu’ realistiche le immagini proposte dal visore. Le prime visioni sono tranquille, paesaggi bucolici e vagamente familiari in cui mi viene chiesto solo di osservare con molta attenzione. Devo trovare il particolare che permette di capire che quel che vedo non e’ la realta’.

Se avete visto il film Matrix vi ricorderete di quando Neo, il protagonista, rivede piu’ volte una particolare scena, come al replay.

A me capita una cosa del genere, una volta per esempio vedo una mucca in mezzo al prato che china la testa per brucare e un secondo dopo ha la testa in alto ma senza averla rialzata. Piccoli particolari insomma. Quando mi accorgo della incongruenza i sensori che ho in testa lo comunicano ai dottori e subito lo scenario cambia.

Dopo la serie di visioni bucoliche, una delle visioni su cui insistono di piu’ ha una ambientazione orientale. Sono in riva al mare, il sole e’ sempre al tramonto e illumina il mare fino a me. Sono su un pontile fatto di canne di bambu’, il pontile ha una tettoia, anch’essa in bambu’. A volte sono rivolto verso il mare e devo trovare anomalie nelle leggere increspature tra le onde. In altre sono girato dalla parte opposta, verso la terraferma. Lo sfondo e’ scuro, il sole non illumina piu’ abbastanza. L’inizio del pontile e’ rischiarato da una candela. Qua le anomalie sono piu’ complicate. Nella struttura del pontile e della sua tettoia ci sono particolari “impossibili”, avete presente le incredibili incisioni di Escher? Una cosa del genere. Altre volte e’ la fiamma della candela che ha delle anomalie. Questa del pontile e’ una visione che mi viene riproposta molte volte, la ricordo con un senso di angoscia. L’ultima volta la candela brucia il pontile e mi viene concessa un’altra visione.

La successiva, se possibile, risulta ancora peggio. Sono con una ragazza, siamo nel giardino di una fattoria, per farvi un’idea, somiglia a quella della serie televisiva “Una casa nella prateria”. La ragazza e’ malata, io potrei salvarla. So di sicuro di poterlo fare, ma non so come. Devo scoprirlo. Anche in questo caso piccole incongruenze che noto interrompono le visioni.

In questi intervalli di coscienza ho potuto comprendere che tutto quel che vedo e vivo e’ creato artificialmente, le interruzioni servono a Mattia per migliorare il programma di realta’ virtuale che sperimenta su di me.

Ricordo con chiarezza quando una volta riesco a liberare una mano. Subito vado a tentoni sulla faccia e provo a togliere il visore. Non ci riesco, sembra incollato alla mia faccia, mi agito, mi manca l’aria. Dopo numerosi tentativi riesco a scostare leggermente il visore dalla faccia. Sono in una stanza completamente bianca e disadorna. La parete di sinistra e’ una vetrata che permette di vedere un corridoio. All’altro lato del corridoio si intravede una porta. La porta e’ socchiusa, si vedono monitor e macchinari, deve essere la sala di controllo da dove i dottori mi torturano. L’unico arredo oltre al letto e’ costituito da un orologio a parete. Ora che vedo l’orologio, mi sembra immenso, il “tac” ad ogni secondo e’ assordante. Urlo. i dottori arrivano, Mattia mi tiene fermo mentre Luca mi inietta un composto di sua invenzione. Le visioni riprendono…alla fine la ragazza muore senza che io possa farci nulla. Cambia di nuovo scena.

La grotta allagata – Questa visione pur essendo completa da se, la sento in qualche modo intrecciata con le altre. Siamo sempre alla Voragine di Monte Spaccato, sempre nella clinica dove sperimentano su di me la realta’virtuale. Questa nuova avventura, oltre ad essere ambientata nella clinica, si ricollega anche a un “sogno” precedente, quello della tragica immersione nella sala dorata. Intanto ve lo racconto, poi mi direte.

Con mia grande sorpresa un bel giorno Giorgio viene a trovarmi alla clinica. La clinica come sapete e’ dentro la grotta, di solito vi sono segregato e le visite sono vietate. Giorgio pero’ lavora nel cinema e conosce molte persone. Conosce anche alcuni dei finanziatori della clinica quindi riesce ad entrare e a portarmi in giro con se’ nella grotta. Utilizzando i gradoni scendiamo verso il fondo. Di recente Giorgio e’ stato con i figli a visitare l’acquario di Genova e ne e’ rimasto entusiasta. Camminando mi descrive le meraviglie che ha visto all’acquario e poi mi illustra la sua idea. Vuole creare un acquario dentro la grotta, per far questo ha chiesto e ottenuto dai suoi amici di poter allagare parzialmente la grotta per poi popolarla di pesci. La clinica ha un’ampia vetrata che permette di vedere l’interno della grotta. In pratica il livello dell’acqua sommergera’ la vetrata. In questa maniera gli ambienti della clinica saranno divisi in 2 parti. Una parte restera’ dedicata allo studio della realta’ virtuale, l’altra sara’ resa pubblica e utilizzata per ammirare l’acquario.

Per essere un acquario competitivo con quello di Genova, verra’ popolato con tutte le specie piu’ pericolose di squali.

Lo ascolto allibito, non sono assolutamente d’accordo con il suo piano! Cerco di convincerlo a lasciar perdere ma lui e’ convintissimo.

Tra l’altro, gli racconto, nel sifone sul fondo c’e’ un tesoro inestimabile e poi c’e’ ancora il mio sfortunato amico da recuperare. Mi mette il muso, ci lasciamo in disaccordo.

Nei mesi seguenti mi sono concesse delle pause dalla realta’ virtuale. Seguo dalla mia stanza tutti i lavori per la creazione dell’acquario. La vetrata viene rinforzata e collaudata, vengono montati dei potenti filtri che manterranno l’acqua pulita e con la salinita’ corretta. La grotta viene lentamente allagata. La clinica viene separata dalla parte dedicata alle visite dell’acquario. Quando e’ tutto a posto arrivano anche i pesci. Posso vederli in anteprima, uno spettacolo impressionante.

Tra gli altri ci sono vari esemplari di squalo tigre.

Quando e’ tutto pronto rivedo finalmente Giorgio. Nel frattempo si e’ convinto di essere un esperto di squali e mi comunica che andra’ nell’acquario a fare una immersione.

Sono disperato, non voglio che faccia una sciocchezza simile ma lui e’ irremovibile e se ne va per mettere in pratica la sua idea.

Rimango davanti la vetrata a guardare. Ecco! vedo un sub che entra in acqua, lo riconosco, e’ Giorgio. Sono molto preoccupato.

Inizialmente sembra andare tutto bene, i pesci quasi lo ignorano. All’improvviso la catastrofe, Giorgio ha una piccola ferita sulla mano, non so come io faccia a saperlo, pero’ lo so.

Con orrore vedo gli squali iniziare ad avvicinarglisi. Giorgio accortosi del pericolo estrae il teaser, una pistola elettrica con la quale dissuadere gli squali dall’attaccarlo.

Lo strumento sembra funzionare ma gli squali sono troppi. Il seguito della scena mi strazia il cuore e non riesco nemmeno a descriverla.

Di Giorgio rimane solo una nuvola rossa, piango. Ricordo piu’ nulla.

Riprendo coscienza che sono ancora disperato, ancora nella clinica di realta’ virtuale, nel mio letto. Riesco a toccarmi la faccia, ho il visore addosso.

Mi pervade un misto di sollievo per Giorgio e di sordo rancore verso i dottori. Si e’ trattato solo di una delle tante illusioni con cui vengo torturato in questa clinica!

Una falsa alleata – Siamo arrivati ad un drastico cambiamento di scenario.

In questo periodo i dottori sono impegnati in conferenze e convegni in giro per il mondo per divulgare le loro scoperte.

Per questo motivo, senza che io ne sappia il perche’, ad un certo punto compare in clinica una infermiera che si occupa di me in assenza dei dottori. L’infermiera si chiama Elena, ci faccio amicizia, sembra comprensiva e spero che magari mi aiutera’ in qualche modo.

Quando glielo chiedo mi procura da scrivere e addirittura si occupa lei di trascrivere quello che le detto quando vede che da solo non riesco.

Mando 2 biglietti con una richiesta di aiuto, una a Giorgio e una a Gabriele. Con la complicita’ di Elena e sfruttando l’assenza dei medici, Giorgio e Gabriele vengono a trovarmi.

Racconto loro le mie recenti disavventure e insieme progettiamo la mia fuga dalla clinica.

I giorni si susseguono lenti, lentissimi, ma alla fine passano.

Arriva il giorno della mia fuga, sembra tutto a posto. E’ arrivato l’inverno e fa freddo, Elena mi porta degli abiti pesanti e mi aiuta a vestirmi. Sono in piedi e aspetto. Una delle pareti della stanza all’improvviso si trasforma in una rampa da cui scende un camion, in retromarcia. Sono sicuramente i miei amici che vengono a liberarmi, sono al settimo cielo.

La mia felicita’ e’ di breve durata. Dal camion escono fuori i dottori!

Elena faceva il doppio gioco, grazie a lei hanno saputo che c’era qualcosa che non andava e hanno fatto il necessario per nascondere i loro crimini. Luca mi si avventa con una siringa in mano, dopo la lunga permanenza a letto non ho i riflessi pronti, non riesco ad evitare che mi inietti chissa’ quale sostanza.

Subito crollo a terra inerte ma ancora cosciente. Vedo che la clinica viene smantellata in fretta e furia, anche io finisco nel camion insieme alle attrezzature. Perdo i sensi.

Vita tra i ghiacci, il lager – Quando mi riprendo sono perduto in mezzo ad una distesa di ghiaccio. Sono stordito e ricordo nulla del mio passato.

Mi sono salvato dal congelare perche’ sono nascosto in una grotta scavata nella neve ed inoltre indosso abiti pesanti ed una pesante pelliccia che mi isola dal freddo intenso. Dallo stretto ingresso della grotta si vede un’ampia e profonda conca, avra’ un diametro di almeno 200 metri. Alla base di essa ci sono delle costruzioni che sembrano abitate. Da una strada che scende a spirale nella conca vedo arrivare vari camion. I camion arrivano alla base della conca nel piazzale centrale. Con stupore e confusione ne vedo scendere prima dei soldati, dalle uniformi sembrano nazisti della seconda guerra mondiale. Dopo i soldati, costretti a colpi e urla, scendono delle persone dall’aspetto denutrito e malandato. I soldati spingono in malo modo questi tapini dentro alcune delle costruzioni. Vorrei fare qualcosa per aiutare quei poveretti, ma non vedo come. Aspetto, inizio anche ad avere fame. Scende la sera, la segue una notte scura come la pece, la luna oscurata dalle nuvole, le uniche luci arrivano dalle costruzioni in cui si sono rifugiati i soldati.

Sento un rumore, vicino. Quasi me la faccio sotto dalla paura, mi avranno scoperto?

Faccio nemmeno a tempo terminare di spaventarmi come di deve che una figura scura si intrufola nella grotta ingiungendomi di fare silenzio.

E’ cosi’ che conosco Anna.

Quando si presenta lo fa in maniera un poco burbera e frettolosa. Vorrei ricambiare ma non ricordo chi sono. Penso in fretta a un nome, mi viene in mente Bob, per il momento andra’ bene.

Dopo le presentazioni mi racconta la sua storia.

E’ lei che mi ha salvato la vita mettendomi al sicuro dentro la grotta. Era una dei prigionieri dei camion ma e’ riuscita a fuggire durante il viaggio. Non avendo altra scelta in quel deserto di ghiaccio decide di seguire i camion.

E’ un tipetto in gamba, la notte si procura cibo rubandolo dai camion, purtroppo non trova modo di aiutare i suoi ex-compagni di prigionia.

La prima sera, quella della fuga, dopo alcune ore di freddo estremo decide il tutto per tutto e nottetempo si intrufola nel camion delle provviste e riesce a trovare una calda pelliccia.

Quando il convoglio arriva in vista della conca, si ferma. La strada a spirale che scende nella conca e’ ostruita da troppa neve, per continuare la si deve rendere agibile.

Anna ne approfitta per fare ricognizione nei dintorni, trova la grotta e poi trova me ancora privo di sensi. Mi trascina nella grotta e poi va a cercare cibo.

Ora posso vederla perche’ mentre raccontava la luna e’ riuscita a far capolino tra le nuvole. Sembra un piccolo orso tutta intabarrata nella sua pelliccia.

Anna ha rimediato alcune scatolette di carne in scatola, le apre con il coltello che le compare in mano quasi per magia. Ne apre una a testa, per il mio povero stomaco vuoto sono buone, anche se il contenuto e’ congelato. Lo grattiamo via col coperchio della scatoletta come fosse una granita. Dopo il lauto pasto guardiamo fuori. Andare in giro al chiarore della luna non sembra consigliabile, potremmo fare ben poco e rischiamo di essere visti. Per prudenza prendiamo la neve che riusciamo a staccare dal fondo della grotta e la usiamo per ridurre la fenditura d’accesso ad una sottile fessura. Dopo questi preparativi non rimane altro che dormire, sembriamo tacitamente d’accordo che non e’ il caso di essere pudici, quindi ci rannicchiamo uno contro l’altra e cadiamo quasi subito in un freddo e pesante sonno.

La mattina veniamo svegliati dalle urla nella conca, sta succedendo qualcosa, ci alziamo a sbirciare…e inorridiamo. I soldati hanno allineato i prigionieri davanti al bordo di una buca profonda che ieri non avevo notato. Di fronte a loro ci sono dei soldati col mitra in mano, ai lati ce ne sono altri. Al comando di quello che deve essere un ufficiale i soldati di fronte ai prigionieri aprono il fuoco con i mitra. I poveretti cercano di scappare ma sono subito falciati dai soldati ai loro lati. Questione di una manciata di secondi ed e’ tutto finito. Ci guardiamo sgomenti e increduli. Anna scoppia in un pianto sommesso ma disperato, provo ad abbracciarla per darle conforto ma subito mi respinge.

Pochi secondi poi smette e recupera la sua maschera di indifferenza.

Sentiamo rumori di motori, i soldati, terminato il loro sporco lavoro sono saliti sui camion e stanno ripartendo. Lo fanno e vediamo il convoglio uscire dalla conca ed allontanarsi fino a scomparire nel bianco infinito. Non ne sentiremo la mancanza.

Aspettiamo fino a sera per uscire dal nostro rifugio, nella conca non si sentono rumori di sorta.

Un silenzio di tomba, mi viene da pensare in un lampo di umorismo macabro. Prima di uscire consumiamo ancora della carne in scatola, sempre ben congelata. Da sazi si e’ piu’ ottimisti. Rompiamo il diaframma di neve costruito la sera prima e usciamo allo scoperto con molta cautela.

Nella conca lo spettacolo e’ orropilante, la fossa e’ piena di poveri corpi, il resto del luogo e’ deserto. Dar loro una degna sepoltura in questo deserto di ghiaccio sarebbe una impresa molto superiore alle nostre forze. Anna e’ pratica, va in cerca di oggetti utili alla nostra sopravvivenza. Uno dei fabbricati per nostra fortuna ne e’ stracolmo, ci sono cibi vari, una bella stufa a kerosene e una miriade di latte di combustibile.

Vita tra i ghiacci, Anna – I giorni successivi sono dedicati alla ricerca di un posto sicuro dove stabilirci, a nascondere tutto il ben di Dio che abbiamo trovato e a scavarci un rifugio.

Per il rifugio scegliamo un posto non lontanissimo dalla conca ma dalla parte opposta rispetto alla strada da cui sono arrivati e ripartiti i camion. Scaviamo nel ghiaccio un tunnel che scende per circa 3 metri nel ghiaccio e da li’ poi ricaviamo degli ambienti che saranno casa nostra. Una stanza diventa il ripostiglio dove ammucchiamo tutto quel che serve per sfamarci e alimentare la stufa. In un’altra mettiamo la stufa, e la adibiamo a sala da pranzo e da letto, usiamo dei teli per foderare il soffitto e delle pellicce per il pavimento e come materassi.

Questi giorni di intenso lavoro rafforzano l’unione tra Anna e me.

Finalmente la vedo anche senza la pelliccia da orso. In realta’ e’ minuta, qualche centimetro piu’ bassa di me, lunghi e ribelli capelli castani, ombrosa ma con un bel sorriso, quando decide di regalartelo.

Col caldo del nostro rifugio non c’e’ piu’ necessita’ di dormire abbracciati quindi sistemiamo le pellicce materasso ognuno a un lato della stufa.

Per i bisogni e’ un bel problema, si deve andare fuori ma stando al riparo da qualche parte altrimenti si rischia di rimanere congelati prima di terminare.

Rimediamo scavando un anfratto nel ghiaccio con una buca fonda dove depositare quel che si deve. Una sorta di bagno alla turca. Nel tempo quando si riempiranno, ne dovremo scavare parecchie altre.

Passa il tempo e nella routine della giornata troviamo il nostro ritmo e anche una crescente familiarita’.

Da li’ ad unire i letti per dormire assieme e poi per…il passo e’ breve.

Fatto sta che un bel giorno Anna mi dice, col suo modo dolcemente scontroso che sospetta di essere incinta.

Sono contentissimo. Passiamo giorni lieti, sempre insieme. Intanto arriva la bella stagione. Non che questo sia molto avvertibile nel nostro deserto di ghiaccio, pero’ le temperature sono leggermente meno rigide e le giornate piu’ lunghe. La stufa continua ad essere accesa ma vediamo che inizia a sciogliere il ghiaccio nel lato della stanza che vi e’ piu’ vicino. Per il momento non ci preoccupiamo, la nostra casa sembra reggere.

Anche se a malincuore devo assentarmi qualche giorno, Anna non puo’ fare sforzi e abbiamo deciso di creare un nuovo nascondiglio per le nostre provviste piu’ vicino a casa. Quello attuale che e’ vicino alla conca. Dovro’ stare via per scavare il nascondiglio e poi fare la spola per trasferirvi piu’ materiale possibile. Quando saremo in 3 avro’ meno tempo per andare a prendere provviste, meglio che siano vicine.

Un lavoro duro che mi tiene impegnato quasi una settimana intera. Alla fine sono distrutto ma contento. Alla conca ho visto con sollievo che non ci sono state altre visite. Ho anche trovato altre cose utili.

Torno a casa soddisfatto, ma solo per trovare dolore e disperazione.

A casa trovo che Anna e’ morta. E’ stata sbranata da una qualche belva feroce. Ne raccolgo i poveri resti piangendo a dirotto e in qualche maniera la affido al ghiaccio per il suo eterno riposo.

Medito se unirmi a lei ma alla fine l’abitudine a vivere ha la meglio. Nei giorni successivi credo di avere la febbre alta, alterno periodi di torpore a periodi di lucidita’.

Quando mi riprendo cerco di scoprire cosa sia successo. Sulla parete dietro la stufa, dove la parete si stava sciogliendo trovo un ampio spazio con la sagoma ancora distinguibile di un animale di grossa taglia. Praticamente era un animale ibernato che il calore ha riportato in vita.

Scopriro’ solo molto piu’ tardi, a mie spese, che si tratta di una tigre dai denti a sciabola, un fossile vivente che non sapevo di aver disturbato.

Vita tra i ghiacci, Lupa – Passa il tempo, si dice che il tempo ripara i danni dell’anima ma la solitudine la corrode di pari passo. Mi avventuro in giri sempre piu’ lunghi e rimango via da casa per giorni interi.

In uno dei miei giri faccio una scoperta sensazionale. Trovo il corpo sbranato di un enorme lupo. Doveva essere una lupa gravida perche’ rifugiato nei suoi resti trovo uno dei suoi cuccioli sopravvissuto non si sa come alla furia di chi aveva ucciso la madre.

Nonostante il cucciolo cerchi di difendersi dalle mie attenzioni, riesco a infilarmelo sotto la pelliccia e lo porto a casa.

Scopro che si tratta di una cucciola, la chiamo Lupa dando sfoggio di gran fantasia.

Diventera’ un esemplare di lupo gigantesco e rubera’ per sempre parte del mio cuore.

Anche lei, come me, odia le tigri dai denti a sciabola.

Andiamo sempre a caccia assieme e su almeno un paio di tigri sfoghiamo la nostra rabbia, oltre a procacciarci della carne fresca per alcuni giorni.

I nostri giri diventano sempre piu’ larghi, la casa e’ solo un posto comodo dove tornare ogni tanto. Lupa a sera scava un rifugio nella neve, mi lascia accomodare e poi si stende accanto a me. Non e’ caldissimo ma non si gela.

Vita tra i ghiacci, l’aeroporto – Durante il nostro girovagare troviamo quello che sembra essere stato un aeroporto.

In uno degli hangar c’e’ un bimotore, vecchiotto ma in buono stato, una officina completa e…un trattore!

Ancora eccitato da questa scoperta vado a curiosare nel secondo hangar.

Qua trovo una ulteriore sorpresa che rivoluzionera’ la vita mia e di Lupa. Trovo l’hangar abitato. Sono 3 persone, 2 donne e un uomo e sono molto spaventati dalla presenza di Lupa che invece non sembra per nulla impressionata da loro.

Li tranquillizzo, indico a Lupa di fare la brava e rimanere lontana. Mi avvicino un po’.

Mi offrono del cibo e piano piano l’atmosfera si rilassa. Stefano e’ l’uomo, alto, sui 40 anni, ben piantato. Lucia, coetanea di Stefano, e’ la sua compagna. Marta e’ la sorella minore di Lucia.

Stefano e Lucia sono simpatici ma devo confessare, e’ Marta che da subito attira la mia attenzione. Somiglia ad Anna in maniera straziante.

Nemmeno a dirlo, quando mi propongono di fermarmi per un po’ accetto piu’ che volentieri. Noi 4 familiarizziamo quasi subito, solo Lupa si tiene in disparte, forse e’ un po’ gelosa dei miei nuovi amici.

Passiamo una settimana molto lieta ma poi devo tornare a casa per vedere che sia tutto a posto. Lupa e’ contenta di lasciare quel posto, un po’ troppo civilizzato per i suoi gusti. Tornare a casa puo’ essere bello ma la solitudine, nonostante la presenza di Lupa, e’ pesante.

Dopo un paio di settimane faccio ritorno all’aeroporto abbandonato.

All’apparenza sembra tutto a posto ma negli hangar trovo nessuno. Sono sconcertato e dispiaciuto. Trovo una maglia di uno dei miei 3 amici e la affido al potente fiuto di Lupa.

Partiamo alla ricerca.

Li troviamo nascosti ed infreddoliti in un riparo improvvisato. Lupa come al solito si tiene fuori portata. Vado avanti da solo. Accolgono con diffidenza l’arrivo di uno sconosciuto ma si illumina loro il volto quando mi faccio riconoscere.

Mi raccontano.

Dopo la mia partenza hanno notato tracce di persone nelle vicinanze. Qualcuno aveva tenuto d’occhio loro e l’aeroporto per un paio di giorni. A questa scoperta si sono spaventati, hanno raccolto le proprie cose e si sono rifugiati li’, dove li ho trovati.

A mia volta racconto di averli cercati dapprima all’aeroporto e quindi in giro con l’aiuto di Lupa. Mi offro di ospitarli a casa, staremo stretti ma sufficientemente comodi. Accettano volentieri. Torniamo all’aeroporto con circospezione, prendiamo tutto quel che puo’ essere utile e lo carichiamo sul trattore. Prendiamo anche una adeguata scorta di carburante. Il viaggio di ritorno e’ lento ma non troppo disagevole.

Casa con i nuovi ospiti diventa decisamente ingombra, Lupa preferisce accamparsi di fuori. Nei giorni seguenti scegliamo un luogo adatto e lavoriamo tutti assieme per costruire una loro casa. Alla fine viene benone e in termine di un mese vi si trasferiscono.

Vita tra i ghiacci, Marta – Ho fatto intanto amicizia con Marta, soffro ancora ma spero che Anna capira’.

Quando e’ possibile Marta ed io usciamo assieme a fare dei giri, e’ anche brava a cacciare.

Per fortuna anche a Lupa sembra stare simpatica.

Marta continua a vivere con sua sorella fino a che qualcosa le fa cambiare idea circa la convivenza con loro.

Ci sara’ un lieto evento nella nostra piccola comunita’, Lucia e Stefano aspettano un bimbo. Questo cambia tutto, Marta forse ora si sente di troppo e mi chiede di poter abitare con me.

Spero lo faccia anche perche’ ama la mia compagnia ma non mi faccio troppe speranze.

Passa del tempo, la nostra quieta convivenza alla fine opera la sua magia. Dopo tanto dolore sento di poter essere di nuovo felice.

All’inizio stiamo attenti, 2 gravidanze nello stesso periodo sarebbero troppo impegnative per la nostra piccola comunita’. Passano i mesi, tutto sembra andare a gonfie vele. Ad inizio estate viene al mondo Leonardo, Leo per gli amici. Lupa si innamora subito di lui, diventa la sua pelosissima babysitter. Anche Marta e’ molto intenerita dal nuovo venuto. Una sera mi chiede se anche noi…

Faccio scivolare via l’argomento con una alzata di spalle, ho ancora paura.

Le ho raccontato la storia di Anna ma lei con logica tutta sua dice che se ho potuto farlo con Anna anche con lei devo avere il coraggio di provare.

Mi mette il muso, non posso sopportare l’idea di essere litigato con lei, tutte le mie paure si sciolgono come neve al sole.

Il risultato e’ un bel pancione anche per Marta nel giro di pochi mesi!

Stavolta evito di allontanarmi da casa per piu’ di poche ore. Se devo stare via di piu’ lascio Lupa a fare la guardia. Anche Stefano e Lucia appena possono mi danno una mano.

Il tempo scorre dolcemente e senza troppi problemi. E primavera quando divento papa’ di una bella bimba. La chiameremo Luciana, un nome che mi riporta buone sensazioni. La vita e’ bella!

Con Stefano decidiamo di tornare all’aeroporto a vedere la situazione. Quando arriviamo non troviamo nulla di anormale. Nel primo hangar c’e’ ancora il bimotore. Stefano mi dice di capirne abbastanza di meccanica, anche io penso di saperne qualcosa e poi probabilmente so anche pilotare un aereo.

L’idea nasce spontanea, rimetteremo in funzione l’aereo.

Il ripristino dell’aereo ci assorbe parecchio.

Marta si risente un po’ perche’ la abbandono spesso ma capisce che la cosa mi appassiona e lascia che io vada…e poi col trattore riesco sempre a tornare a casa per cena.

Anche a Lupa non piace la mia occupazione, tanto che spesso preferisce rimanere a casa con i suoi nuovi amori, Leo e Luciana. Non insisto, sono piu’ tranquillo sapendo che c’e’ lei a proteggere i miei cari.

E’ l’ultimo giorno di lavoro sull’aereo. Asera Stefano ed io siamo contenti perche’ l’aereo e’ pronto e collaudato. Purtroppo tornando a casa troviamo una amara sorpresa.

Trovo Lupa a terra, vicino l’ingresso di casa, col suo sangue ha inzuppato tutta la neve circostante. La mia cara amica non c’e’ piu’. Stefano corre a casa sua.

Non faccio a tempo a piangerla perche’ arrivano Stefano e Lucia con un’altra notizia terribile.

C’e’ stato un attacco di una delle famigerate tigri dai denti a sciabola.

Lupa stava accompagnando Marta a casa a prendere un gioco per Luciana. La tigre le ha attaccate nel tragitto.

Anche se prese alla sprovvista le mie ragazze si sono difese, ma la tigre riesce ad avere la meglio lasciando Lupa a terra moribonda e, purtroppo, a ferire gravemente Marta.

Per fortuna i bimbi erano al sicuro in casa con Lucia. Ora Marta e’ a casa nostra ma e’ grave.

Sono distrutto. Assisto Marta ma la vedo peggiorare di giorno in giorno, ogni tanto riprende lucidita’ ma la maggior parte del tempo delira.

Mi maledico mille volte al giorno ma posso fare poco altro. Dopo dieci giorni di agonia Marta smette di esistere per il mondo. La vita e’ bella? Forse si, ma altrettanto crudele.

Passo dei giorni di abbrutimento assoluto. Quando Lucia e Stefano si affacciano li caccio a malo modo. Cerco di scontare il male che sento di aver fatto lasciando sola Marta per uno stupido gioco, un aereo.

Gia’, ora abbiamo un aereo, una idea si fa strada nella mia mente sconvolta. Partiro’.

Vita tra i ghiacci, partenza – C’e’ il problema di Luciana, non sono stato in grado di proteggere la mia compagna, figurarsi una figlia. E’ vigliaccheria ma decido che chiedero’ a Stefano e Lucia di tenerla loro. Il nuovo progetto mi allontana dalla pessima realta’ attuale. Questo per quanto strampalato mi aiuta. Riprendo timidamente confidenza con la vita.

Quando spiego a Lucia e Stefano il mio piano mi danno dell’irresponsabile. Alla fine capiscono che devo lasciarmi alle spalle questi eventi luttuosi se voglio riprendere veramente a vivere.

Prometto loro che tornero’ a prendere con me Luciana appena possibile, loro, anche se a malincuore accettano di tenerla come fosse loro figlia.

Il giorno dopo prendo le mie poche cose, saluto i miei cari e mi avvio a piedi verso l’aeroporto, ho con me un bagaglio di errori e rimpianti cosi’ pesante che quasi dubito l’aereo riesca a decollare.

Una nuova vita- All’aeroporto sembra ancora tutto a posto, apro l’hangar e preparo l’aereo. Faccio il pieno di carburante. Ho deciso di prendere una direzione e seguirla fino ad svuotare i serbatoi. Scendero’ planando e atterrando, se possibile. Altrimenti…bene cosi’.

Il decollo riesce bene, il motore ronfa dolcemente, dentro di me faccio i complimenti a Stefano per il buon lavoro fatto.

Volo a lungo, la neve pian piano cede il posto al verde. Vedo un paesino incastonato tra i monti, vicino c’e’ un ampio prato dove poter atterrare, il posto mi attira e mi ricorda qualcosa, probabilmente posti che nella mia vita precedente ho amato.

Cambio i miei piani, mi dirigo verso il prato per tentare l’atterraggio. Tocco terra, non sembrano esserci problemi. All’improvviso uno scossone fa inclinare di lato l’aereo, probabilmente una buca che non avevo notato.

Tutto succede in un istante, riesco a saltare dall’aereo prima che si schianti contro un albero. Arrivando a terra con nessuna eleganza prendo una bella botta e tutto si spegne.

Il villaggio svizzero – Riprendo i sensi che sono in un ampio locale in legno, sono disteso su una panca, di lato noto un bancone, tutto intorno a me vedo visi sconosciuti che mormorano commentando il mio risveglio.

Appena mi vedono abbastanza sveglio i miei salvatori mi fanno mettere seduto e mi propinano un gigantesco boccale di birra – e’ corroborante – dicono. Non so quanto tempo sia che non bevo alcool, per giunta a digiuno. In breve sono completamente ciucco e mi accascio di nuovo.

Mi sveglio solo il giorno dopo, sono in una stanzetta e sono nudo!

Trovo dei vestiti sulla sedia che oltre al letto compone tutto l’arredo della stanza. Mi vesto ed esco dalla stanza. In pratica mi ritrovo nella sala dove mi sono svegliato ieri per la prima volta. In seguito scopriro’ che e’ la frequentatissima osteria del paese, in pratica il centro della vita sociale del posto. La simpatica coppia che gestisce il locale mi accoglie con calore.

Ricambio i saluti. La gentile signora mi invita a sedermi al tavolo e mi porta subito qualcosa da mangiare. Le chiedo che fine abbiano fatto i miei vestiti, la vedo arricciare il naso. – Erano in condizioni pietose, quasi piu’ di te e puzzavano anche piu’ di te, abbiamo bruciato tutto e a te abbiamo fatto un bel bagno mentre dormivi beato – mi dice sorridendo. – Caspita, che vergogna – penso ma lei, quasi leggendomi nel pensiero continua dicendo – non ti preoccupare, non sei fatto diversamente dagli altri uomini e poi a lavarti ci ha pensato mio marito.

Ho incontrato Due persone molto simpatiche e alla mano.

Senza curarsi di sapere chi io sia o da dove io venga, si offrono di ospitarmi nella stanzetta dove mi sono svegliato. Si chiamano Holga ed Heinz ma io che sono un fenomeno coi nomi capisco Olga ed Enzo. Li chiamero’ cosi’ per tutta la mia permanenza in questo paese.

Ma che paese e’? Non ne ho mai saputo il nome ma e’ un piccolissimo borgo abitato da non piu’ di 30 persone, non c’e’ una chiesa, non ci sono strade carrabili o asfaltate ma solo sentieri. Le abitazioni sono tutte in legno di, al massimo, 2 piani. Tranne per l’osteria, il primo piano di solito ospita i ricoveri per gli animali. Ogni casa sul retro ha un orto. Visto che non ci sono strade, naturalmente non ci sono auto. La collocazione geografica del paese e’ indeterminata, ma siamo sicuramente in Svizzera, vicino al confine con la Germania. In tutto il paese parlano un italiano stentato ma comprensibile.

Non faccio fatica ad ambientarmi. Senza fretta e senza forzature trovo la mia strada, divento apprendista falegname di Mario, un personaggio incredibile, legnoso come il materiale che lavora, fumatore e bevitore accanito ma anche lui con un gran cuore.

Nelle lunghe sere all’osteria conosco meglio gli altri abitanti del paese e ben presto divento un buon bevitore di birra.

Un personaggio in particolare mi incuriosisce, Filippo, il postino. Ogni giorno parte a piedi per il suo giro. Scende a valle per prelevare la posta e poi inizia un lungo percorso su e giu’ per i paesini che coronano la valle.

Ogni tanto, quando Mario me lo consente, lo accompagno nel suo giro.

Oltre a fare un lavoro molto utile conosce praticamente tutti e, cosa impossibile per me, ricorda perfettamente tutti i nomi e gli indirizzi con cui ha a che fare.

Il conoscere tante persone in questi posti non e’ una cosa da poco, l’ho capito accompagnandolo. In ogni casa deve fermarsi qualche minuto per bere un bicchiere di qualcosa, sempre alcolico, accompagnato da un assaggio di qualcos’altro, formaggio, salame o cose simili. Ci vuole un allenamento eccezionale per resistere.

La prima volta che lo accompagno e’ lui che deve riportarmi a casa quando crollo. Inoltre capisco perche’ nelle serate in osteria e’ l’unico che non beve.

Dopo qualche mese di permanenza mi sono ambientato bene, ho trovato una stanzetta tutta per me e sono andato ad abitarci. Me la cavo bene anche come falegname e riesco a seguire ed aiutare Mario nei suoi lavori. Nel tempo libero, ne ho un po’, intaglio figurine nel legno che poi regalo e qualche volta vendo. In paese c’e’ una ragazza con cui scherzo, probabilmente le piaccio ma non riesco a spingermi oltre l’amicizia, ancora mi bruciano le precedenti esperienze.

Arriva l’inverno, abbiamo la neve anche qua. Devo dire che rivedere tutto bianco mi mette addosso un misto di tristezza e nostalgia, pero’ anche l’inverno passa e il mio umore ne giova.

La mia vita scorre tranquilla ma qualcosa arriva a turbarla.

Una lettera portata dal mio amico Filippo.

Come abbia fatto una lettera a raggiungermi e’ un fatto inspiegabile, pero’ lo fa. La busta e’ piena di timbri di posti a me sconosciuti dove la lettera ha transitato per un periodo.

Leggendo a chi e’ indirizzata scopro che il mio nome e’ Fabrizio e non Bob. Capisco anche il motivo per cui Bob mi suonava bene, nella lettera vengo chiamato Bibbo, c’e’ assonanza.

Oramai pero’ sono Bob per tutti, tanto vale.

Le mie sorelle – La lettera e’ di 2 ragazze, Vins e Mati. Solo di recente hanno scoperto di essere sorelle e che io sono loro fratellastro maggiore, abbiamo la stessa mamma, padri differenti.

Pare, cosi’ scrivono, che siamo stati separati alla nascita ma per qualche strano motivo ci siamo ugualmente conosciuti trovandoci simpatici a vicenda.

Ricordo nulla di questo ma provo da subito una naturale simpatia per loro. Hanno saputo della nostra comune origine quando loro padre, il mio patrigno, e’ venuto a mancare improvvisamente e loro si sono ritrovate eredi di una grossa societa’.

Nostra madre approfittando della confusione ha preso la direzione dell’azienda e ora non intende cedere il comando a nessuno. Nella lettera trovo il loro indirizzo attuale con la preghiera di mettermi in contatto con loro. Guardando meglio, dentro la busta trovo anche del denaro per le spese di viaggio nel caso decidessi di raggiungerle.

Una famiglia inaspettatamente ritrovata non e’ cosa da ignorare. Anche se a malincuore faccio i preparativi per partire.

La vita di Mati e Vins – Con la disinvoltura tipica del mondo parallelo inizio a “vivere” la vita di Mati e Vins. Io ci sono ma solo come spettatore invisibile. Nel plico della lettera trovo un quaderno scritto a mano da Mati. Lo leggo e vivo con lei le sue avventure.

E’ una bambina con la sola madre. Sono povere, il padre ha abbandonato lei e la madre per fare fortuna altrove. Mati, nonostante gli stenti cresce bene e con una passione innata per la musica ed il canto. Quando e’ adolescente, nonostante la madre sia contraria, frequenta una scuola di musica e recitazione, e’ talmente brava che vince una borsa di studio.

Un inciso, probabilmente questa scuola somiglia tanto a quella di “Saranno famosi” una serie televisiva molto seguita anni fa nella quale molti giovani talenti artistici sviluppano le loro capacita’.

In questa scuola Mati fa amicizia con una ragazza, anche lei molto brava nel canto. E’ Vins. Lei e’ cresciuta in una famiglia benestante e ora vuole diventare una cantante professionista. Un bel giorno Mati invita Vins a casa. La madre nel vederle assieme rimane pietrificata. Riconosce subito in Vins la prima figlia avuta col secondo marito. Erano talmente poveri che decisero di darla in adozione. Ritrovarsi dopo tanti anni e’ un bellissimo choc. Tanti pianti, abbracci a cui partecipo anche io nel mio cantuccio invisibile. Passa del tempo e tra alti e bassi le ragazze decidono di cantare assieme, si fanno strada facendo concerti in paesi di provincia e iniziano a farsi conoscere. La madre, nostra madre ad essere precisi, nel frattempo ritrova, o meglio viene ritrovata, dal loro padre. Ora lui e’ ricco, ha delle industrie e altre attivita’. Tornano a vivere assieme.

La famiglia ritrovata – A questo punto rientro in scena io. Raggiungo la mia ritrovata famiglia presso lo stabilimento della fabbrica principale. Non mi chiedete cosa produca perche’ non e’ dato sapere, posso dirvi che e’ enorme e sorge in una zona imprecisata del Friuli. Tutta la fabbrica viene diretta da una torre a forma di fungo dove ci sono gli uffici amministrativi. Qua regna nostra madre. Vins e Mati hanno sospeso i concerti nonostante siano richiestissime in tutto il modo. Sono la’ alla fabbrica per convincere la madre a cedere loro il controllo della societa’. Ma nostra madre ha sofferto per troppi anni e ora non vuole mollare, si diverte un mondo.

Quando mi presento a lei devo dire che l’accoglienza non e’ molto calorosa, mi riconosce ma sono passati troppi anni…e poi dubita delle mie buone intenzioni.

Seguo con interesse i tentativi di Vins e Mati per convincere la madre ma sulle loro discussioni il mio mondo parallelo inizia a diventare meno reale, sfuma, fino a sparire come nebbia al sole.

Mi ritrovo nella triste realta’, ancora una volta li’ nel letto, immobilizzato e assillato dal crudele orologio.

Altri sogni – Ci sono alcuni sogni che hanno nulla a che fare con con gli altri. Nel senso che finora, nonostante la loro incoerenza tutti sembrano avere un qualche legame. Questi, pur essendo intrecciati con tutti gli altri sono a se’ e sono piu’ indistinti e incompleti.

Il matrimonio di Claudia – Claudia nonostante tutto e’ riuscita ad organizzare il suo matrimonio. Per la cerimonia ci ha portati tutti in Thailandia, in una delle fantastiche isole al sud del paese. Si sposera’ qua, in riva al mare come desiderava.

Ci siamo tutti, ci sono i futuri sposi, ci siamo Betta ed io e tutti gli altri parenti ed amici.

La temperatura e’ torrida, quasi soffro il caldo anche io, ed e’ tutto dire. La sete mi perseguita, sono sempre in cerca di acqua fresca ma non trovo mai l’occasione per gustarne un sorso.

L’albergo non e’ propriamente lussuoso, le parti comuni sono tutte dipinte in un celeste chiaro o rivestite di quelle piccole tessere celesti che da noi sono tipiche nelle piscine.

Un particolare che mi colpisce, le camere sono senza bagni e per i propri bisogni si deve andare in delle curiose stanzette, senza porta, accovacciarsi su un lungo muretto che puo’ ospitare anche cinque persone e fare quel che si deve. Dall’altra parte del muretto c’e’ un canale dove scorre l’acqua e tiene pulito.

Nonostante queste piccole difficolta’ devo dire che il posto e’ veramente splendido, il mare e’ davanti all’albergo e dalla sala dove si mangia si accede direttamente alla spiaggia.

Claudia e’ impegnatissima e frenetica, Betta la segue nei preparativi, ci incontriamo solo la sera a cena prima di andare a letto stanchissimi. Il giorno fatidico e’ tutto perfetto. Claudia e Matteo sono radiosi. Io piango un po’, anche a Betta, anche se fa finta di nulla, scappa una lacrimuccia. Dopo la cerimonia andiamo a pranzo, siamo nella sala dell’albergo addobbata per l’occasione. Ci sono tutti piatti esotici a base di pesce. E’ un sogno lieto e tranquillo, forse sollecitato da qualcosa che ci siamo detti al telefono o chissa’ che altro. Come ogni sogno che si rispetti termina senza una fine vera e propria ma lascia dopo di se’ una bella sensazione.

Angeli contro la violenza – Siamo in Sudamerica, forse un film o il servizio di un telegiornale ha ispirato questo sogno.

Sono un aspirante volontario per entrare a far parte di una squadra di “angeli” che soccorrono donne maltrattate. Il responsabile del gruppo e’ un tipo segaligno dallo sguardo dolce ma l’anima d’acciaio. Per entrare a far parte del gruppo verro’ sottoposto a dei test. Mi viene assegnato un caso da seguire, si tratta di Pamela, vuole fuggire dal marito che la picchia, ha bisogno di aiuto. La contatto con discrezione. Ci diamo appuntamento e ci incontriamo in un bar. E’ una bella ragazza, mi racconta la sua triste storia.

Si e’ sposata molto giovane, appena maggiorenne. Quello che sarebbe diventato suo marito intanto iniziava la carriera nella polizia. Per qualche tempo tutto va bene ma poi suo marito inizia a diventare geloso e manesco.

Tra alti e bassi hanno una figlia. D’imperio il padre decide che avra’ nome Olga, come la madre. Nonostante la figlia le violenze familiari continuano, anzi peggiorano.

Ora Pamela non sente piu’ amore, teme per la propria vita, vuole fuggire con la figlia. Con l’aiuto della squadra devo organizzare il loro trasferimento in un luogo sicuro.

Non possiamo vederci spesso, il marito la sorveglia. Abbiamo stabilito che se dovessimo dirci qualcosa possiamo farlo lasciando dei biglietti presso la cassiera del bar dove ci siamo incontrati oggi.

Lavoro sodo e piu’ in fretta possibile per organizzare il trasferimento. Ogni tanto passo al bar, solo una volta trovo un biglietto con poche, terribili parole – Ho paura -. Faccio il meglio che posso ma passa quasi un mese prima di avere tutto pronto.

Le lascio un bigliettino per un nuovo appuntamento, mi risponde dopo qualche giorno, ci vedremo la mattina dopo al mercato.

Al mercato la rivedo ma quasi non la riconosco, e’ molto dimagrita, porta un foulard in testa annodato sotto il mento, le nasconde parte della faccia.

Senza mostrare di avermi visto mi fa segno di seguirla a distanza. Andiamo nell’androne di un palazzo. Quando si toglie il foulard vedo la cicatrice sulla guancia.

Mi racconta che il marito la sorvegliava e si e’ insospettito per le troppe visite al “nostro” bar. Una sera l’ha picchiata con violenza ancora maggiore dandole alla fine un manrovescio sulla faccia con la sua pistola.

All’ospedale le hanno curato il taglio con dei punti. I poliziotti che dovevano informarsi su quanto accaduto erano amici del marito, ci ha parlato lui convincendoli che era stato un semplice incidente domestico.

Inizio a spiegarle quanto abbiamo predisposto per la fuga sua e della figlia. Al termine del nostro incontro sembra rincuorata e fiduciosa. Al mercato c’e’ un banco gestito da un nostro simpatizzante, lasceremo a lui eventuali messaggi.

Dopo una settimana e’ tutto pronto, le lascio un messaggio come concordato. Mi risponde con un messaggio disperato, dobbiamo incontrarci di nuovo.

Stavolta la aspetto direttamente nell’androne. Pamela entra e gia’ piange. Il marito le ha tolto la figlia e l’ha affidata alla madre. Non puo’ fuggire senza di lei. Anche se a malincuore sospendo tutto. La rivedo un mese dopo, e’ in ospedale ha un occhio nero, varie contusioni e un braccio rotto…

Nella versione ufficiale e’ caduta dalle scale. Non mi posso avvicinare perche’ e’ sorvegliata nemmeno fosse una delinquente.

Una delle infermiere pero’ e’ dei “nostri” e si occupa lei di parlarci. Vuole scappare prima che sia troppo tardi, anche se col cuore spezzato deve rinunciare alla figlia. Quando vengo a sapere che sara’ dimessa organizzo di nuovo tutto e le lascio un messaggio.

Appuntamento al mercato la mattina del quinto giorno dal giorno del suo ritorno a casa, questo e’ l’accordo. Quella mattina e’ tutto pronto, sono al mercato e nei dintorni ci sono miei colleghi con un furgoncino che ci aspettano.

Appena la vedo avanzare le faccio segno di seguirmi, andiamo lenti, ancora zoppica un poco. Sono teso ma sembra andare tutto bene. Pamela sale sul furgoncino e la portiamo dove assumera’ una nuova identita’, una nuova vita.

Il termine di questo trasferimento decreta anche la fine del mio periodo come aspirante, divento un volontario effettivo con tanto di festeggiamento da parte di tutti i colleghi e le congratulazioni del capo.

Pero’ Pamela mi ha colpito e faccio una cosa che non si dovrebbe mai fare con le persone che si aiutano. Inizio a frequentarla. Seguo altri casi simili al suo, ma con lei e’ differente.

Conviviamo.

Passa il tempo, andrebbe tutto bene ma Pamela e’ sempre triste, pensa alla figlia.

Lo sapro’ solo in seguito, a mia insaputa ha chiesto informazioni della figlia alla famiglia dell’ex-marito. Lui naturalmente l’ha prontamente saputo e l’ha rintracciata.

Un “bel” giorno torno a casa e la trovo deserta. Strano, penso, Pamela raramente si muove da casa e praticamente mai la sera. Altra cosa strana, mi chiama il capo, mi dice perentoriamente di tornare in sede, ha delle notizie per me.

Sono preoccupato per l’assenza di Pamela ma comunque vado. Il capo pur non approvando sa di me e Pamela, magari sa qualcosa. In effetti sa qualcosa, ma non sono buone notizie. Mentre me le racconta mi risveglio nel mio letto d’ospedale col cuore che va a mille. Sogno terminato, non ho piu’ saputo cosa sia stato di Pamela. Pero’ mi consolo immaginando che sia riuscita a recuperare la figlia e ora vivono in pace nel mondo delle mie fantasie ottimistiche.

Operatore turistico e santo – Questo forse e’ il sogno piu’ strano, non e’ assimilabile ad alcuno dei miei sogni passati.

E’ diviso in due fasi ugualmente pazzescamente irreali, ve le racconto, prendetele per quel che sono, le farneticazioni di una persona malata e confusa, risvegliata a nuova vita dopo la terapia intensiva. Ma iniziamo col sogno, sono sdoppiato, sono io il protagonista del sogno, pero’ sono sempre io che mi vedo dall’alto, invisibile.

Sono un operatore turistico, di quelli che accompagnano i turisti nelle gite sui pullman decantando loro le bellezze del luogo. Il luogo deve essere un’isola, forse in Campania. Il parcheggio dei pullman dove partono e terminano le gite e’ in una piana antistante una bella e ampia cala. Tra il parcheggio e la spiaggia c’e’ il ristorante dove i turisti vengono portati a mangiare a fine gita. Noi operatori prendiamo una percentuale anche dal ristorante per ogni turista che portiamo loro. Dalla parte opposta della cala c’e’ un paesino arroccato sopra la scogliera a picco. Ci sono tante casette coloratissime, mi ricorda la foto di un paese delle Cinque Terre che ho visto da qualche parte.

Dal parcheggio parte una strada che sale con vari tornanti, arriva fino ad una grotta e poi prosegue per il paese.

Come ho detto il mio lavoro consiste nel seguire i turisti sul pullman, descrivere loro le bellezze del luogo, guidarli nella visita alla grotta e quindi al paese a fare inceppa di souvenir. Il tutto in tempi prestabiliti, utili per tornare a pranzo al ristorante convenzionato.

La sera dopo il lavoro e dopo la cena al ristorante, mi ritiro in una stanzetta che ho in affitto ai margini del parcheggio. E’ minimale ma con una vista stupenda, mi trovo bene. L’arredamento della stanza e’ indefinito ma c’e’ un oggetto che stona con l’agnostico che mi sento di essere nella realta’. Di lato al letto, accanto alla finestra, c’e’ un inginocchiatoio. Con un immaginabile stupore mi vedo la sera inginocchiarmi col rosario per pregare.

Continuo col tran tran quotidiano quando in questa atmosfera misticamente tranquilla un giorno succede qualcosa che rivoluziona la mia vita.

Ricevo una visita da alcuni alti prelati, dei vescovi, cardinali o simili, li ricevo nella mia stanza anche se non ho sedie per loro. Sono qua per comunicarmi una cosa che mi lascia perplesso e basito. In uno speciale conclave sono stato proclamato Santo Padre! Il posto si trasforma quasi subito in meta di pellegrinaggio, io rimango confinato nella mia stanzetta ma non posso esimermi dall’affacciarmi alla finestra ogni giorno per salutare la folla festante. Dalle preoccupazioni per l’organizzazione delle gite dei turisti e i piccoli inganni per guadagnare qualcosa di piu’ con i pranzi, mi trovo a meditare e preoccuparmi di tutti i mali del mondo mentre i consiglieri che mi contornano mi sottopongono problemi a cui non so dare risposta.

Provo piu’ volte a rifiutare questo fardello ma la risposta e’ sempre la stessa, la decisione del conclave non puo’ essere rifiutata. Sono sovrastato e sopraffatto da tutti i mali del mondo, guerre, inquinamento, violenza, tutto sembra convergere sulla mia persona, sono sempre piu’ disperato, nemmeno la preghiera riesce ad offrirmi conforto. Non so nel tempo dilatato del mondo parallelo quanto sia durato questo terrificante sogno, di sicuro mi risveglio con un senso di oppressione immenso…sempre immobile nel mio letto d’ospedale col perfido orologio che scandisce i secondi incurante dei miei tormenti.

Siamo arrivati alla fine. Per me e’ stato un viaggio attraverso varie fantasie, magari scollegate tra loro ma tutte vissute intensamente come fossero reali…perche’ in quel momento per me erano reali, non mi stanchero’ mai di ripeterlo.

Non posso dire che sia stato sempre piacevole ricordare quel che vi ho raccontato ma spero che a voi il mio mondo parallelo sia risultato interessante.

Informazioni su fato63

Pratico la speleologia da qualche anno ormai. Mi sono finalmente deciso a tenere un diario delle uscite. Approfitto del blog per renderlo consultabile e commentabile.
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