Elisa e io al fondo del ramo parallelo. Gabriele e Umberto in ricognizione nei pressi della grotta per riprendere punti GPS di grotte conosciute.
La mattina ci vediamo tutti sotto casa mia e partiamo verso Subiaco. La solita sosta a Cicchetti per la colazione e poi proseguiamo per Livata.
Senza altre soste arriviamo allo spiazzo dove lasciamo solitamente la macchina per andare a Pozzo Doli. Fa freddo, ma al sole si sta bene. Elisa e io iniziamo a cambiarci. Gabriele e Umberto ci accompagneranno alla grotta poi proseguiranno per la loro ricognizione.
E’ parecchio tempo che non andiamo a Pozzo Doli, ci torno volentieri. Il nostro obiettivo per oggi e’ quello di andare a disarmare una risalita al fondo del ramo parallelo.
Appena pronti partiamo tutti assieme per la breve passeggiata che ci porta all’ingresso della grotta. Vado avanti mentre Gabriele, Elisa e Umberto rimangono indietro di qualche metro. Gabriele li intrattiene narrando loro la storia delle esplorazioni della grotta.
Arrivo al recinto che delimita l’ingresso. In verita’ e’ talmente malmesso come recinto che difficilmente lo si distingue da un mucchio di rami buttati a caso.

Iniziamo i preparativi per entrare, abbiamo una corda da 50m per doppiare il primo tratto del P63 (il pozzo parallelo) e una 30m da usare per il disarmo della risalita.
E’ tutto pronto. Incito Elisa ad entrare, il tempo di un saluto veloce ai nostri amici e siamo alla saletta iniziale.
Da quel punto vado avanti io, cosi’ posso descrivere a Elisa quello che vedra’. Faccio il breve tratto di scivolo che mi porta al bivio tra ramo principale e ramo parallelo. Di fronte a me c’e’ la “sala di Bibbo”, una stanzetta senza ulteriori sviluppi dove penso di essere entrato solo io in tutta la storia della grotta.
Mi sistemo comodo e dico a Elisa di scendere. Ancora non sa quanto puo’ essere brava quindi si impiccia un poco nel passaggio per evitare il pozzo che porta al ramo principale. Ma e’ questione di secondi e siamo insieme sulla soglia del ramo parallelo, la saletta concrezionata da cui parte.
Anche qua mi dilungo a raccontarle delle meraviglie naturali che vede, della saletta con le concrezioni di un bianco candido e traslucido. La saletta ha l’ingresso e, a quanto so, finora ci e’ passata solo Angelica. Un salto armato di un paio di metri ci porta allo scivolo e quindi alla partenza del P63.
C’e’ un primo tratto di altri 2 metri, quindi un traverso che piace “moolto” a tutti coloro che lo affrontano e poi finalmente il pozzo vero e proprio. Il primo salto ha un moschettone in lega. E’ fiorito in maniera esuberante, ovvero e’ coperto da un generoso strato di ossido gelatinoso. Lo pulisco della gelatina, sembra integro, pero’ meglio essere prudenti. Chiedo a Elisa una delle maglie rapide che ho portato per la risalita e doppio il moschettone che resta li’ perche tanto la ghiera e’ bloccata.
Siamo alla cengia che precede il simpatico traverso. Elisa mi aspetta la’ mentre vado sbuffando fino all’ultimo attacco dove finalmente parte il pozzo. Mi sistemo comodo, per quanto possibile e inizio a sistemare l’armo per sistemare la seconda corda. Non e’ cosa poco dispendiosa in termini di fatica ma alla fine ce la faccio.
Ricordavo che la corda dell’armo gia’ presente la volta scorsa fosse lesionata, per scrupolo vado a controllare…in effetti e’ ancora la’, ben lesionata. I trefoli sono a posto ma la calza per un paio di centimetri e’ inesistente. Lancio qualche sacramento ad alta voce, Elisa si preoccupa un poco per la propria incolumita’. Le ho detto infatti che sulla corda nuova vorrei scendere io perche’ e’ la prima corda che io abbia mai acquistato (poco prima di ammalarmi) e questa e’ la prima volta che la uso…e vorrei usarla io.
Fatto uno piu’ uno, Elisa e’ preoccupata e mi chiede lumi. La rassicuro e traffico per un buon quarto d’ora con i nodi. Sacrifico un’altra maglia rapida e alla fine isolo in parte la parte di corda danneggiata. A questo punto ci scenderei senza timore, quindi penso lo possa fare anche Elisa. Le dico che e’ tutto a posto e lei si precipita ad affrontare il traverso. Un poco di movimento e’ un sollievo per lei, si era infreddolita a guardare me che giocavo con le corde.
Scendiamo il pozzo fino alla cengia dove devo a Elisa una nuova sosta per sistemare il mio frazionamento. Questione di poco. Poi pero’ devo scendere veloce fino al frazionamento successivo sperando che la mia corda ci arrivi. In caso contrario mi servira’ avere la sua corda libera per districarmi.
E invece no, va tutto bene. La mia bella corda arriva al frazionamento precisa precisa. La annodo e comunico a Elisa che puo’ finalmente scendere.
L’ultimo tratto del pozzo, una ventina di metri, la scendo prima io poi aspetto che arrivi Elisa. Siamo alla base del pozzo, piena di sassi, le racconto che originariamente i sassi occludevano la prosecuzione ma poi spostandone alcuni e con un deciso lavoro di allargamento siamo riusciti a passare. Confesso di non aver avuto granche’ parte in questa parte della esplorazione, pero’ siamo un gruppo a lavorare e non importa chi ha fatto cosa.
Qualche consiglio per affrontare la parte stretta che incontreremo e poi vado. Ci teniamo a vista, quindi non ci dovrebbero essere problemi. Qua gli armi sono a posto non ci sono altri moschettoni da cambiare. qualche metro stretto poi il pozzo si apre. Avverto Elisa che non deve arrivare al fondo del pozzo ma, arrivata a circa 5 metri dal fondo dovra’ traversare alla sua destra fino ad entrare in una finestra, dove la aspettero’.
Arrivo alla piccola sala dopo la finestra e la aspetto nel caso avesse bisogno di una mano. Niente da fare, se la cava in maniera egregia. Al lato opposto della saletta un altro pertugio porta al pozzo successivo che, almeno per ora, e’ l’ultimo per questo ramo. Il fondo del pozzo e’ di solida roccia e oggi ci passa un allegro rivolo d’acqua, nemmeno tanto piccolo.
Aspettando Elisa passo la breve e facile strettoia che ci separa dalla altissima frattura che e’ stata l’oggetto della risalita, un paio di anni fa. Anche Elisa mi raggiunge in un minuto.
Siamo in un ambiente particolare, un meandro con pareti altre almeno quaranta metri, alla base scorre il rivolo d’acqua e va a perdersi piu’ avanti. Per arrivare al punto del meandro dove parte la risalita lo si deve percorrere cambiando di livello con delle facili arrampicate. Elisa non le ama particolarmente e, prima che tenti di dirmi che si ferma qua ad aspettarmi, mi affretto a farle sicura collegando la mia longe alla sua. La cosa sembra rincuorarla e sale senza problemi, come mi aspettavo.
L’ultimo ostacolo e’ una strettoia, passata quella il meandro continua ancora qualche metro poi si interrompe senza appello. La strettoia non e’ impegnativa, la passo con solo pochi lamenti. E’ il turno di Elisa. La affronta di forza, ancora non e’ abituata a “sentire” la strettoia col corpo. Dopo un paio di tentativi e’ quasi decisa a rinunciare. Insisto, ripasso parzialmente la strettoia per farle vedere che se affrontata nella giusta maniera questa non e’ una strettoia impossibile. Si rimette a provare e con pazienza alla fine riesce.
Ci siamo! Ecco la corda della risalita. Chiedo a Elisa la 30 che ha nel suo sacco, ci servira’ per fare la doppia e completare il disarmo della risalita. In pratica saliremo fino all’ultimo attacco della risalita, smonteremo il superfluo mantenendo un solo attacco con la sua maglia rapida. Faremo poi un nodo tampone sulla corda prima di passarla dentro la maglia rapida in maniera che i 2 capi della corda arrivino fino alla base della risalita. Il nodo tampone blocca la corda da un lato, su quel lato di corda potremo scendere senza pericolo. Arrivati in fondo potremo recuperare tutta la corda tirando l’altro capo.
A dirlo sembra semplice. Vedremo. Un sospiro e parto. Metto la corda nel croll come pallida sicura. In effetti non so in che stato sia l’armo in cima alla risalita. Dopo 2 anni di attesa puo’ benissimo essere logoro e spezzarsi alla minima sollecitazione. Per questo la sicurezza che ho nel fare affidamento sulla corda in caso di caduta e’ veramente minima.
In ogni caso le pareti sono relativamente vicine e non lisce. Ho molti appigli e posso salire senza rischiare troppo. Salgo una ventina di metri. Elisa e’ piccina sotto di me. Accendo la luce di profondita’ e la punto verso l’alto. L’armo e’ su 2 attacchi unito da un topolino. Il nodo forse ha un angolo leggermente troppo aperto ma tutto sommato sembra robusto. Continuo a risalire in arrampicata ma col cuore piu’ leggero.
Arrivo al topolino (io chiamo “topolino” quel nodo conosciuto da tutti come “coniglio” o “nodo del soccorso”, non mi chiedete il perche’, non lo so!) e prendo fiato. Comunico a Elisa che e’ tutto a posto ma data la distanza probabilmente capisce poco di quel che urlo. Accendo di nuovo la torcia di profondita’ e studio la prosecuzione della risalita. La corda si sposta avanti nella frattura di un paio di metri, fino a una cengia, armata con un solo attacco.
La cengia dista un paio di metri da me, l’attacco sembra a posto. Salgo. Arrivando alla cengia faccio cadere un sasso, per fortuna passa lontano da Elisa. Cerco di capire come ho fatto ma non trovo traccia di altri sassi in bilico. Mi sistemo comodo e urlo a Elisa di salire.
Nemmeno il tempo di sentire freddo che gia’ la vedo fare capolino. Prima di tutto le chiedo di recuperare la corda arancione che avevo annodato in fondo alla corda della risalita. Mi servira’ per fare la discesa in doppia e quindi recuperare le corde. Fatto questo, Elisa passa il frazionamento e mi raggiunge. Illumino sopra di noi per farle vedere come prosegue la risalita. Ancora una decina di metri poi la corda si interrompe. Sembrano esserci 2 attacchi anche la’ sopra. le spiego per sommi capi cosa faro’ e le faccio vedere il nodo tampone che utilizzero’.
Un ultimo controllo di non aver fatto impicci con le corde e poi salgo, sempre privilegiando gli appigli sulla roccia per non gravare troppo sulla risalita. Quando arrivo all’armo dove la risalita termina, posso finalmente verificarne lo stato. Le maglie rapide sono un poco arrugginite ma non sono in pessimo stato. Prima di smontare tutto mi guardo intorno. C’e’ proprio nulla da vedere. La frattura dove sono salito termina altri 10 metri piu’ in alto, anche ai lati c’e’ nulla da fare, tutto sigillato. Peccato. Metto la longe (avevo scritto “mi allongio”, ma e’ proprio brutto!) su uno dei 2 attacchi e l’altro lo smonto. Litigo qualche minuto col nodo topolino (o coniglio che dir si voglia) per scioglierlo poi sono pronto per attrezzare la discesa. Unisco le 2 corde, confeziono il nodo tampone con uno dei moschettoni che tengo sempre con me, metto la corda nella maglia rapida. Punto importante (che non dimentico mai da quella volta che…), verifico che la corda di recupero non vada a schiacciare l’altra corda contro la roccia durante il recupero, monto il discensore, lo blocco. Sono pronto, urlo a Elisa che inizio a scendere. Le faccio anche una battuta del tipo: “se mi vedi scendere molto velocemente allora forse ho sbagliato qualcosa”, pero’ non mi sembra che Elisa apprezzi molto.
Comunque va tutto bene e in breve sono sulla cengia con Elisa. Assesto un leggero strattone alla corda di recupero, viene senza problemi. Questo mi solleva dal pensiero che possa essersi bloccata in qualche maniera, e non e’ poco. Faccio proseguire il recupero a Elisa raccomandandole di tirare con gradualita’ senza dare troppa accelerazione alla corda altrimenti questa potrebbe decidere di formare un malefico ricciolo e bloccarsi. Tutto bene. Con un secco rumore che ricorda una frustata la corda arriva giu’ sulla cengia.
Per qualche minuto siamo impegnati a sistemare le corde e togliere i nodi. Quando ho le 2 matasse pronte dico a Elisa che puo’ scendere cosi potro’ ripetere la discesa in doppia per il secondo tratto.
Quando sento il suo “libera”, inizio la preparazione. Litigo con la maglia rapida che non vuole aprirsi ma con la chiave ne ho ragione con un poco di pazienza. Sciolgo il nodo dell’armo e ripeto la preparazione del nodo tampone. Anche questa volta mi assicuro che la corda di recupero scorra bene, monto il discensore e sono pronto.
Scendo i 2 metri per arrivare al topolino, tolgo gli attacchi e, accompagnando la cosa con un adeguato numero di sbuffi e imprecazioni, sciolgo il nodo che e’ stretto a morte, anche in questo caso la chiave e’ d’aiuto.
Sistemo le mie robe, riguadagno la verticale, controllo che la corda non tocchi sulla roccia e inizio la discesa. Anche questa volta sembra vada tutto bene. Arrivato alla base della risalita affido a Elisa il compito di recuperare la corda, oramai e’ brava. Un attimo di incertezza mi prende quando la corda cadendo non arriva fino a noi. Pero’ un cauto strattone la fa proseguire nella discesa. Tutto ok!
Facciamo di nuovo le matasse di corda, recuperiamo tutto il materiale e poi scendiamo al livello della strettoia che tanto e’ piaciuta a Elisa. Stavolta pero’ la passa senza alcun problema, sara’ che inizia ad avere voglia di uscire. Facciamo ancora qualche minuto di sosta, il disarmo e’ stato impegnativo, sento il bisogno di bere e mangiare qualcosa. Risolvo rubando una abbondante manciata di frutta secca a Elisa e scolandomi quasi tutta la mia bottiglietta dell’acqua. il mio stomaco approva con un brontolio.
Ricomponiamo gli zaini inzeppandoci dentro le corde e poi prendiamo la via del ritorno. La salita non sara’ velocissima con gli zaini pieni di corda bagnata, pero’ procede senza particolari problemi e poi ci riscalda assai. A meta’ del pozzo parallelo (P63) mi accorgo che le gocce d’acqua che mi arrivano in faccia ora mi fanno piacere, sono rinfrescanti.
Alla partenza del P63 costringo Elisa a una nuova sosta, devo recuperare la mia corda. Armeggio tra corda e attacchi cercando di sbrigarmi. Lei mi aspetta sulla cengia dopo il traverso. Le passo la mia corda perche’ la tiri su, un modo come un altro per scaldarsi.
La raggiungo, saliamo allo scivolo e facciamo un’altra breve sosta per fare una matassa con la mia corda, la portero’ appesa all’imbrago, sara’ scomodo ma abbiamo pochi metri da fare per guadagnare l’uscita.
Alla prima saletta sentiamo della voci da fuori, sono Gabriele e Umberto che ci aspettano, che piacevole sorpresa. Usciamo a incontrarli. Fuori e’ notte ma siamo in orario perfetto, sono le 17.30. I nostri amici ci aspettano da circa mezz’ora e iniziano a sentire freddo. In effetti il gelo si impossessa subito anche di noi. Dobbiamo sbrigarci a tornare alla macchina per cambiarci. Ci suddividiamo il materiale da portare e partiamo.
Cambiarsi le vesti da grotta fradice d’acqua quando si e’ qualche grado sotto lo zero e’ un piacere inaudito. Quando ho terminato ho le dita delle mani ghiacciate e parzialmente insensibili. Metto tutto in macchina, indosso guanti e cappelletto e mi rifugio dentro.
Non facciamo soste nel tornare indietro, siamo tutti stanchi e infreddoliti, mentre dietro Elisa dormicchia scambio qualche parola con Umberto e Gabriele. Mi raccontano del loro giro, io ricambio dicendo loro della nostra avventura. Passa cosi’ il tempo fino all’arrivo a Roma che chiude la bella giornata. Alla prossima.