Continua l’esplorazione della nuova grotta, Piccola Cretarossa ovvero Abisso Ruvese. Con Maurizio, Gabriele, Giuseppe ed io.
La domenica prima un nutrito gruppo di amici sono stati invitati da Nerone a visitare la grotta. Anche questa volta sono riuscito ad estorcere una relazione a qualcuno. Il malcapitato stavolta e’ stato Paolo, che approfitto per ringraziare.
Ecco la relazione di Paolo:
Domenica 27 agosto 2017
Grotta ??? – esplorazione di due verticali da 40/45 m fino a -150 m circa
Partecipanti: Paolo, Federica, Federico, Mario, Valerio, Fabrizio, Barbara.
Se scorrete il catasto al numero 1781La, nella colonna dedicata ai nomi delle grotte troverete: “???”; esatto, tre punti interrogativi!!. A seguire, sotto la dicitura “Località”, si legge: “100 m a NW del Pozzo della Creta Rossa”… le coordinate corrispondono a quelle che ho provvidenzialmente ripreso.
“Valerio, come si chiama ’sta grotta?”; “boh”, “… e che c…., si avvia a superare i meno cento e ancora non gli avete dato un nome!??”, “mi pare Grotta senza nome, o forse Pozzo della Rava Rozza, ah no Pozzo della neve, oppure …”, “vabbe’, ho capito, entriamo che è meglio …”
Siamo qui, in questa splendida faggeta simbruinica, a poche decine di metri dall’ingresso del Pozzo della Creta Rossa, io, Federica, Mario e Federico in rappresentanza del GGCR, che per un giorno è andato in trasferta a dare manforte agli amici Shakazuli, ovvero Valerio, Fabrizio e Barbara, che in realtà è del CAI di Roma. Siamo all’ingresso di questa Grotta senza nome per partecipare all’esplorazione di un baratro stimato tra i 60 e gli 80m.
Ma facciamo un passo indietro. Questa estate Gabriele Catoni, socio SZCS e instancabile PR della speleologia italiana, ha stretto un gemellaggio con un gruppo pugliese, e per sugellare il sincretismo cultural-grottarolo ha organizzato un bel campo estivo sui monti Simbruini. Il luogo prescelto è assai strategico: c’è una meravigliosa faggeta pianeggiante, raggiungibile da una breve sterrata, a pochi chilometri dai bar e dagli alimentari di Livata, a poche decine di metri dall’ingresso di una bella grotta come il Pozzo della Creta Rossa, e soprattutto vicino ad un bucaccio nella terra trovato da Alberta Felici tanti anni fa dove adesso tocca scavare… i lavori durante il campo hanno sortito gli effetti desiderati e così, dopo aver estratto alcune centinaia di callarelle piene di terra e aver dato una mano con mazzetta, scapello e … scalpelli, il bucio ha ceduto il passo agli speleologi in entrata e all’aria in uscita. In breve gli amici Shakazuli hanno percorso una serie di passaggetti discendenti, fino a raggiungere la partenza di un pozzo da 25m, seguito dal baratro di cui sopra… E’ a questo punto della storia che Nerone mi chiama minacciandomi che, ove mai non fossi andato a vedere le nuove scoperte, mi avrebbe spezzato un tronco sulla schiena!! Così sollecitato non mi son potuto sottrarre, ho coinvolto i consoci castellani liberi per un’uscita domenicale e ci siamo recati sul posto.
Il giorno prima, ovvero il sabato, Gabriele, Nerone, Bibbo e compagnia hanno bonificato e messo in sicurezza il P. 25 e ci hanno gentilmente e generosamente aperto la strada per la discesa del baratro a seguire. Imperscrutabili strategie esplorative hanno fatto sì che parte della grotta sia stata armata con una corda portata da non ho capito chi dello Speleo Club Roma, il quale se l’è pure riportata indietro.
Dunque noi entriamo e la grotta è disarmata… serpeggia il panico: “Abbiamo abbastanza corde per raggiungere il pozzone nuovo? Per quello la corda c’è, ma prima come famo?”, “tu quante corde hai? Che te sei portato?… forse non bastano…”. A questo punto Valerio mi dice di entrare per ultimo e disarmare l’ingresso, che può anche essere arrampicato, per recuperare la corda. “Vabbe’… obbedisco!”. Mario è davanti a me, tolgo il primo armo e scendo in arrampicata il saltino d’ingresso, effettivamente è banale; continuo a scendere lungo uno scivolo terroso… la corda, sempre la stessa, è rimandata su un nuovo ancoraggio e continua a scendere giù per un pozzetto oltre una strettoia… “Mario, ma sto pozzetto è arrampicabile? Devo continuare a disarmare?”… ho i miei seri dubbi, e per non rischiare di intrappolarmi da solo, assieme a tutti gli altri sotto di me, decido di doppiare la corda facendola passare in un moschettone e di toglierla eventualmente da sotto una volta verificata la situazione; abbarbicato dunque a queste due corde continuo a scendere giù per dislivelli sempre meno arrampicabili. Arrivo quindi in una saletta… la corda è fissata ad un nuovo ancoraggio e si getta giù per un pozzetto di oltre tre metri, pure scampanante… i dubbi del piano di sopra qui, al piano di sotto, diventano certezza… “se continuo a disarmare non usciamo più!! … VALERIO, mi senti?, ma debbo disarmare pure questo?!”, “no, no”. Percepisco una voce perplessa. Quando lo raggiungo pochi metri più in basso gli chiedo conto: “ma la corda la dovevo recuperare o no?”, “solo quella del saltino iniziale!!”, “si peccato che era la stessa di tutti quelli appresso… io ho disarmato quasi tutto ………….”, alla perplessità si sostituisce la preoccupazione! A questo punto faccio il vago e la butto in caciara: “non ti preoccupare; ho verificato mentre scendevo, è tutto arrampicabile… (si spera!!)”.
Finalmente arriviamo sul fronte esplorativo. Il baratro viene disceso da Fabrizio, che si ferma una quarantina di metri più in basso su un terrazzo laterale generato da un arrivo abbastanza importante, che immette nella
grotta un sottile ma costante filo d’acqua; lo raggiungiamo in breve tutti. Sotto di noi, oltre un restringimento della frattura genitrice, si apre una seconda verticale profonda anch’essa una quarantina di metri, o forse più.
Viene armata da Valerio, seguito da Federico… alla base la grotta continua con una serie di saltini: i primi due arrampicabili, il terzo da armare e lasciato in pasto ai prossimi avventori… questa via però non sembra avere l’aria decisa che attraversa tutta la cavità nel troncone a monte, anzi, questa viene rintracciata in un meandro sospeso all’altezza del terrazzo dove ci troviamo tutti radunati; oltre una strettoia da aggredire con una certa determinazione si vede la frattura di nuovo larga, ma soprattutto si sente un chiaro rimbombo, segno incontrovertibile di ambiente grande. Sarà forse per non farci sentire troppo spaesati che la grotta ha avuto la gentilezza di presentarsi con un andamento tipicamente aurunco: i pozzi non si scendono, si scavalcano!!
Per evitare tempi d’uscita troppo lunghi e, soprattutto, per scongiurare di inzupparci come hanno dovuto fare Valerio e Federico sotto lo stillicidio dell’ultima verticale, decidiamo di riprendere la via verso le stelle, fidandoci ciecamente dei racconti dei nostri compagni di avventura. In realtà per un attimo io e Fabrizio ci eravamo fatti balenare l’idea di andare a vedere anche noi, ma poi, quando abbiam visto il fradiciume al quale non ci saremmo potuti sottrarre, siam velocemente passati a più sani propositi.
Mario è partito per primo, tutto ringalluzzito dall’aver sceso per la prima volta un pozzo tanto profondo; lo ha seguito Federico, che ha dovuto porre rimedio ai miei incauti disarmi delle zone alte; io e Federica abbiam chiuso la carovana, rischiando di rimanere bloccati sotto il pozzone da 40 m, a causa di una lametta di roccia bastarda che aveva deciso di circuire la corda e di non mollarla più; solo dopo svariati “sgrullamenti” dal basso e una buona dose di imprecazioni la situazione è stata fortunosamente risolta.
Alle 22:00 eravamo tutti fuori, accolti da Patrizia e Gabriele, nonché da Pepita che, ovunque mi incontra, mi riserva sempre delle feste commoventi.
Alle 22:30 eravamo tutti con le gambe sotto un tavolo al ristorante della famiglia di Valerio. Nonostante le lamentele dei suoi genitori di non essere stati avvertiti per tempo e di aver dovuto quindi arrangiare quello che c’era, a noi è parsa una cena luculliana.
Grazie a tutti per la piacevolissima giornata.
Auguro di cuore gli amici shakazuli di essere a breve nella condizione di poter battezzare il “Pozzo senza acca!!”
Alla prossima
Paolo
Dopo l’appassionante resoconto di Paolo e’ ora il momento di tornare a noi. La mattina Gabriele, Giuseppe ed io ci diamo appuntamento sotto casa mia. Verso le 8.30 partiamo sulla inossidabile Meriva di Gabriele alla volta di Livata dove siamo attesi da Maurizio. Fatte tutte le soste necessarie, ed anche di piu’, arriviamo alla grotta intorno alle 10. La prima cosa da fare in questi casi e’ una bella foto. La grotta sta ancora riposando nel box di filagne sotto la sua nuova copertina di legno, omaggio di Gianluca, Tarcisio e Maurizio.
Iniziamo a cambiarci. Maurizio ci raggiunge e si mette velocemente a paro con noi.
Ora che siamo tutti bardati alla bisogna non poteva mancare una foto di gruppo prima di entrare.
Mandiamo avanti Giuseppe perche’ ha scavato tanta tanta terra ma ancora ha visto nulla della bella grotta che e’ diventata anche grazie alle sua fatiche.
Eccolo alla discesa del primo pozzo su corda che chiamerei volentieri “pozzo della pazienza premiata”.
E’ un poco stretto, ma non per lui. Lo faccio fermare per una foto.
Maurizio intanto si gratifica con un buon sigaro…per fortuna la grotta soffia e si porta via l’odore pestilenziale che produce!
Giuseppe va avanti svelto, io lo seguo e continuo a scattargli foto. In pochi minuti siamo alla partenza del primo pozzo serio, il “pozzo Mirella” di circa 25 metri.
Di nuovo parte Giuseppe per primo. Mentre si guarda intorno prima di iniziare a scendere il buon Giuseppe trova un passaggio alla sinistra della partenza del pozzo. Non e’ facilmente percorribile, pero’ potrebbe essere interessante andare a sbirciare piu’ da vicino cosa c’e’ in fondo.
Scende con molta calma gustandosi il pozzo. Alla cengia intermedia urla per avvertirci che e’ a quel punto, l’altra volta abbiamo notato che urlando dal fondo del pozzo sopra si sente poco o nulla. Quando sento un flebile “libera” rispondo con un “ok” ed inizio a scendere. Alla cengia faccio sosta per una foto verso il fondo del pozzo.
Raggiungo Giuseppe nel tratto riparato alla partenza del nuovo pozzo, quello che la volta scorsa ho sceso per meta’. Mentre anche Gabriele e Maurizio ci raggiungono, iniziamo a prepararci per la discesa di quello che oramai e’ stato battezzato il “pozzo dei Silenziosi”. C’e’ da sistemare l’armo, Giuseppe mi cede l’onore e l’onere di farlo. Col suo aiuto mi bardo di tutto il necessario, o almeno cosi’ credo, e parto per la missione. Scendo facendo un minimo di pulizia, tolgo con i piedi tutta la minutaglia che posso senza rischiare di rovinare la corda. Qualche sasso piu’ grande lo sposto di lato nelle cengie piu’ grandi che incontro scendendo. Individuo un attacco messo ma non utilizzato, dovrebbe essere il deviatore di cui mi ha parlato Fabrizio. Non penso mi servira’, quindi lo smonto. Voglio spostarmi dalla verticale attuale, per piu’ motivi, scendere piu’ al riparo dei sassi la seconda parte del pozzo e togliermi dallo stillicidio. Per ora si tratta di poche gocce ma ho la sensazione possa diventare un serio fastidio quando ci sara’ piu’ acqua. Come progettato mi sposto di lato, saggio la roccia nel punto che ho scelto e prendo il trapano per fare i buchi…ecco cosa ho dimenticato, la punta del trapano! Come diceva nonno: “chi non ha testa abbia gambe”, tiro giu’ qualche moccolo e mi rassegno alla risalita. La mia partenza non e’ delle migliori, perdo la presa sulla roccia e ritorno precipitevolissimevolmente verso la verticale andando a sbattere sulla parete opposta. La roccia in quel punto e’ liscia, lavorata dall’acqua, naturalmente pero’ vado a beccare l’unico spuntone di roccia che c’e’ nei dintorni rimediando una discreta botta sulle costole. Sospetto di essermi guadagnato un bel livido, ma ora ho troppo da fare per curarmene. Inizio a salire. Un paio di metri sopra di me c’e’ una comoda cengia dove poso tutto il bardamento pesante, poi con sbuffi e sospiri salgo a prendere la punta che giuseppe gentilmente mi porge. Saluto tutto il gruppo, che nel frattempo si e’ ricompattato e poi scendo a completare il mio lavoro. Arrivato in loco recupero tutto il necessaire e sistemo 2 fix completando il tutto con altrettanti attacchi. Quando vado a recuperare abbastanza corda per fare il nodo ho una sorpresa, non ne ho abbastanza. Evidentemente sotto di me c’e’ un frazionamento da togliere e sistemare. Per il momento continuo la discesa usando uno dei nuovi attacchi come deviatore. Urlo a Giuseppe, che mi seguira’ per secondo, avvertendolo che dovra’ fare il nodo eliminando il deviatore temporaneo. Arrivo al frazionamento sotto. Studio un attimo la cosa, per come scende la corda ora questo frazionamento puo’ essere trasformato in un deviatore. Vorrei mettere in funzione il deviatore, ma non ho cordini. Alla fine ci metto una catena di moschettoni con quelli degli attacchi piu’ uno della mia longe. Anche in questo caso urlo a Giuseppe avvertendolo di portarsi dietro un cordino per sistemare bene il deviatore e recuperare i moschettoni. Dopo il deviatore scendo ancora pochi metri poi arrivo al terrazzo laterale intermedio descritto da Paolo nella sua relazione.
Scendo ancora un paio di metri spostandomi alcuni metri dalla verticale del pozzo e mi ritrovo alla partenza del meandro con aria che vogliamo allargare. Per prima cosa mi sgolo per urlare il libera a Giuseppe. Devo lanciare almeno una decina di urli al massimo della capacita’ delle mie corde vocali, per fortuna alla fine ricevo un lontanissimo ok. Ora posso dedicarmi ad altro. Inizio subito ad esaminare la zona di lavoro. L’aria in effetti c’e’, ma non sara’ semplice venire a capo di tutto questo “strettume”.
In attesa dei miei amici mi giro intorno, dietro di me, in direzione opposta al meandro da allargare, continua l’armo, presumibilmente verso l’altro pozzo, ovvero la seconda meta’ del “pozzo dei Silenziosi”.
Ecco che arriva Giuseppe, ha sistemato a dovere l’armo, non ha recuperato il moschettone della mia longe ma in compenso ha portato gli zaini con i materiali e la mia acqua, improvvisamente mi sento addosso una gran sete.
Iniziamo subito a lavorare di buona lena, nel frattempo ci raggiunge anche Gabriele portandoci la notizia che Maurizio ha deciso di non scendere il “pozzo dei Silenziosi” e che ci aspettera’ sopra. Mi dispiace un poco, ma comunque avremo sicuramente modo di scenderlo assieme nei prossimi mesi. Il lavoro procede piu’ velocemente di quanto mi aspettassi, dopo un paio d’ore si inizia ad intravedere un “buio largo” davanti a noi che rimbomba urlando. Queste eccitanti informazioni che ci ritorna la grotta ci spronano a continuare. Mentre lavoriamo spostando tanti sassi dobbiamo stare attenti perche’ la spaccatura del pozzo sotto di noi si allunga quasi fino ai nostri piedi e c’e’ il rischio che qualcosa cada di sotto. Il fatto di saperlo non ci salva, prima cade la chiavetta d’armo di Giuseppe e poi, con gran rimbombo, cade la mia batteria d’emergenza, un pregiato manufatto di Fabrizio, il nostro radiologo di fiducia. Me ne rammarico assai, ma posso farci nulla, un sospiro e continuo a fare quel che serve. Giuseppe non si rassegna alla perdita della chiave, quindi decide di scendere il resto del pozzo per cercarla. Lo avvertiamo che il moschettone su cui e’ appeso nel primo, breve, tratto lavora male facendo leva sulla roccia e di non dare strattoni. Quando scompare alla vista riprendiamo il lavoro interrotto.
Mentre Gabriele e’ intento a scavare, io mi riposo un poco bevendo di nuovo dell’acqua.
Giuseppe ritorna. L’impressione e’ che sia stato via troppo poco, anche per uno veloce come lui nel risalire i pozzi. Ce lo conferma quando arriva di nuovo tra noi. E’ arrivato solo al frazionamento a meta’ discesa. Nel pozzo il vapore ristagna, non sembra esserci aria. Ha avuto una sensazione negativa ed ha anche avvertito un odore strano, insomma ha preferito interrompere la discesa e risalire. Ci porta una notizia interessante. Per tutta la grotta percorsa finora abbiamo cercato una corda rossa da 60m, quella che secondo Gabriele e’ destinata per l’armo della prima parte del “pozzo dei Silenziosi”. La corda su cui siamo scesi e’ una 100m in prestito da un altro gruppo e dobbiamo restituirla. Insomma, Giuseppe ha trovato la fantomatica corda, e’ al frazionamento intermedio della seconda parte del pozzo e scende fino al fondo. Giuseppe ha provato a recuperarla ma sotto e’ incastrata da qualche parte e non e’ riuscito. La corda pero’ la si deve recuperare e poi oramai, avevo sperato che Giuseppe riportasse notizie circa la sorte della mia batteria. Alla fine prendo coraggio con un gran sospiro, recupero la mia attrezzatura, la indossoa nuovamente ed intraprendo la discesa. Anche io affronto il “moschettone a leva” con tutta la cautela del caso, mi sposto al frazionamento sulla verticale del pozzo ed inizio a scendere. Il lato della parete su cui scendo e’ interessata da un ruscellamento d’acqua, non intenso ma comunque notevole vista la siccita’ di questo periodo. Al frazionamento raccontatoci da Giuseppe trovo la partenza della corda rossa, mi guardo in giro, in effetti il vapore che produco in abbondanza ristagna nel pozzo. C’e’ pure sentore di un cattivo odore che non riesco ad identificare. Passo il frazionamento e continuo la discesa sulla corda rossa. Il secondo tratto di discesa e’ reso meno simpatico da un insistente stillicidio che mi cade addosso senza che ci sia possibilita’ di evitarlo. Mi fermo su una cengia, in una nicchia c’e’ ammucchiato il resto della corda rossa, con tutti gli spuntoni di roccia in cui la trovo incastrata era impossibile che si riuscisse a tirarla su dal frazionamento. Sotto di me il pozzo restringe scendendo ancora qualche metro. Alla base si vede un buco, probabilmente il primo dei saltini descritti da Paolo. In una rientranza della roccia trovo i miseri resti della mia batteria, della chiave di Giuseppe nemmeno l’ombra. La batteria, essendo al litio ha tenuto fede al suo essere potenzialmente esplosiva se trattata male. La trovo infatti raddoppiata come volume ed orribilmente squarciata al centro. Spendo un ennesimo sospiro pensando ai bei momenti passati assieme, recupero un paio di connettori e mi dedico ad altro. Prendo la corda rossa, ne sciolgo con pazienza gli intrichi ed i nodi e la ammatasso il piu’ ordinatamente possibile al centro della cengia. Finito il lavoro preparatorio, inizio a risalire. Sara’ l’impressione, pero’ mi sta’ prendendo un poco di mal di testa e penso sia l’ora di togliersi da questo posto (Nota: Ripensandoci giorni dopo, mi sono dato una spiegazione per il cattivo odore ed il mal di testa, probabilmente quando la batteria e’ scoppiata ha sprigionato una buona quantita’ di gas non proprio benefici. Curiosando in internet ho trovato frasi del tipo: “La ricerca ha individuato oltre 100 gas tossici emessi dalle batterie agli ioni di litio, tra cui il monossido di carbonio.”).
Come avevo presagito la salita e’ molto bagnata, al frazionamento sono praticamente fradicio. Smonto gli attacchi e mi appendo addosso le corde ancora annodate tra loro. Anche nel resto della salita l’acqua non manca, ci si mette anche il peso via via crescente della corda che porto appesa alla bandoliera. Ogni tanto faccio sosta approfittando per studiare un armo con meno acqua. Tra ansimi, sospiri e sbuffi arrivo al frazionamento di partenza. Urlo per richiamare l’attenzione dei miei amici, viene Giuseppe a darmi una mano nel recuperare le corde. Mentre lui tira su, io mi posiziono sulla verticale del pozzo per deviare la corda ed evitare incastri.
Termino il disarmo del pozzo, aggiorno i miei amici su quanto ho visto e della triste sorte della mia batteria. Informo Giuseppe della perdita definitiva della sua chiave d’armo e poi mi disfo della attrezzatura per riprendere il lavoro di allargamento. Vado a vedere a che punto siamo. Durante la mia assenza Gabriele e Giuseppe hanno lavorato con impegno ed ora il passaggio sembra quasi fattibile, non ci avrei mai sperato quando abbiamo iniziato. Chiedo l’ora, Giuseppe per fortuna ha portato l’orologio. Sono le 5 del pomeriggio. Abbiamo ancora un po’ di tempo.
Gli ultimi centimetri da allargare sembrano i piu’ ostici e ci fanno penare assai. Alla fine pero’ ce la facciamo, o meglio, Giuseppe, togliendosi completamente l’imbrago, riesce a passare e ci saluta felice dall’altro lato della strettoia.
Gabriele ed io proviamo a passare, ma anche strizzandoci al massimo non riusciamo, per fortuna ora Giuseppe dall’altro lato puo’ lavorare con comodita’ e riesce ad allargare abbastanza. Riprovo a passare ancora una volta…niente da fare. Attacchiamo con ancora maggiore decisione la strettoia togliendo gli spuntoni piu’ fastidiosi. In capo ad una mezz’ora posso riprovare e stavolta passo! Non e’ propriamente largo, per me, pero’ e’ fattibile. Per prima cosa vado a vedere dove siamo. Siamo in un tratto di meandro di roccia pulitissima, largo un paio di metri. Verso l’alto si perde nel buio, potrebbe essere interessante fare alcune risalite. Dopo circa 5 metri c’e’ una curva a destra quasi ad angolo retto. Subito dopo la curva le pareti del meandro stringono di nuovo, ma per poco. Dopo lo stretto c’e un piccolo ambiente, subito dopo un altro restringimento e quindi piu’ avanti si intuisce un ambiente piu’ ampio. L’aria si sente arrivare da la’ anche se con meno decisione rispetto alla strettoia appena passata.
Fatta la mini-esplorazione torno sui miei passi. Tento una foto ricordo a Giuseppe ma oramai la fotocamera e’ talmente intrisa di fango che non riesco piu’ a pulire l’obiettivo abbastanza da ottenere foto nitide.
Riprendiamo a smazzettare per rendere ancora piu’ agevole il passaggio.
Gabriele tenta il passaggio incitato da noi. Arriva quasi a passare ma poi decide che preferisce rimandare alla prossima volta, quando allargheremo ancora meglio.
Ci rassegniamo a fare la foto ricordo solo Giuseppe ed io, la fotocamera non e’ d’accordo ed infatti si rifiuta producendo questa foto astratta.
Fatta la foto decidiamo che l’esplorazione per oggi puo’ bastare. Con fatica passiamo (parlo solo per me, per Giuseppe il problema non esiste) la strettoia in senso inverso ed iniziamo i preparativi per il ritorno verso l’aria aperta. Per prima cosa mangiamo alcune manciate di uva passa ed arachidi, beviamo in abbondanza e ci rivestiamo della attrezzatura. Tra salite e discese, smazzettate furiose, sudore e stillicidio, inizio a sentirmi stanco. Mi propongo per salire per primo, i miei amici acconsentono. Prima di partire facciamo consiglio, si deve decidere se continuare con il disarmo della corda da 100. Chiedo di nuovo l’ora a Giuseppe, sono le 7 passate, 2 ore sono scivolate via come niente. Dico loro la mia opinione. Considerato che siamo tutti parecchio stanchi, abbiamo anche fatto tardi per uscire ad un’ora decente, personalmente abbandonerei l’idea del disarmo limitandomi a portare la corda rossa da 60m alla partenza del pozzo dei Silenziosi. Concludo il mio ragionamento lasciando a loro la valutazione finale sul da farsi. Non capisco bene il loro pensiero, pero’ ora ho solo voglia di iniziare a salire. Mentre vado, li vedo che impiegano l’attesa sistemando le corde.
Sosta per riprendere fiato a meta’ del pozzo dei Silenziosi.
Quando sono ad una decina di metri dal frazionamento sento un inconfondibile odore di sigaro e vedo della luce sopra di me. Maurizio, l’eroico Maurizio, ha pazientemente atteso qua per tutte queste ore! Mi complimento con lui e poi lo esorto ad iniziare la risalita del pozzo Mirella. Arrivato alla partenza del pozzo dei Silenziosi tento ancora una volta una foto del buio mentre urlo la libera.
Alla partenza del pozzo Mirella mi ritrovo con Maurizio. Decidiamo di aspettare qua il resto del gruppo. Dopo averlo aggiornato sulle ultime novita, per passare il tempo ci scambiamo foto.
Ecco Maurizio!
Dopo circa un’ora di attesa inizio a sentire decisamente freddo, d’altronde sono ancora abbastanza bagnato addosso. Ho anche un problema con la tuta che non ne vuole sapere di restare chiusa, il velcro non regge piu’. Maurizio, indomito, decide di rimanere in attesa. Io lemme lemme mi avvio all’uscita. Nel buio della notte mi cambio con molta calma e sistemo nel mio enorme zaino arancione tutto il fango che contorna e nasconde l’attrezzatura. Una volta cambiato dovrei sentirmi meglio, inizio invece a sentire un freddo intenso, tanto da tremare come una foglia. Mi infilo addosso tutti i vestiti che porto per evenienze simili e poi mi chiudo in macchina continuando a tremare. Dopo una lunga attesa, finalmente esce Gabriele. Mi spiega che ha impiegato un poco di piu’ del solito ad uscire perche’ ha avuto difficolta’ con lo zaino.
Nel giro di un’altra mezz’ora escono anche Giuseppe e Maurizio. Subito si cambiano. Nel frattempo ho acceso la macchina di Gabriele, oltre a riscaldarmi posso avere alcune informazioni. Ci sono 9,5° e sono oramai le 10.30 di sera…per stasera le fettuccine sono sfumate. Appena recupero una temperatura decente esco a fare foto, la prima a Giuseppe…
…quindi a Maurizio…
…ed infine a Gabriele.
Visto che ci siamo termino il gruppo inserendo la foto che mi ha scattato Maurizio con la sua fotocamera mentre eravamo ancora in grotta. Notare il colore “mimetico” della tuta.
La serata termina con la disperata ricerca di un posto dove mangiare qualcosa. Dopo alcuni tentativi vani approdiamo al ristorante dei genitori di Valerio. Mossi a compassione riattivano il forno e ci fanno delle sostanziose pizze che ci hanno riconciliato col mondo. Il ritorno a dire la verita’ l’ho sonnecchiato a tratti, nei momenti di veglia ho cercato di fare conversazione con Gabriele. Di Giuseppe ad un certo punto ho perso le tracce, penso si sia appisolato anche lui. Una giornata faticosa ma divertente e proficua. Alla prossima.