Meri del Soratte – 12/02/23 [Silvana]

Ancora una volta e sempre con molta gioia ospito la relazione scritta a 4 mani da Silvana e Giulio.

Partecipanti: Giulio, Michele, Laura, Francesca, Luciano e Silvana.

I Meri del Soratte sono tre pozzi situati nel folto boschivo della Sabina. Per raggiungerli potete impiegare 10 minuti, seguendo le coordinate e grazie ad un facile sentiero, oppure perdervi e vagare per 2 ore affidandovi ai vostri infallibili sensi di ragno.

Quella mattina Giulio si era svegliato prima del canto del gallo e, dopo aver tirato giù dal letto Michele, che invero soffre di una terribile malattia chiamata “gioventù” (grazie alla quale aveva fatto nottata), ci vediamo tutti a Sant’Oreste alle 9.

Lasciamo le auto alle 9.30. Ci cambiamo e iniziamo l’avvicinamento affidandoci ai nostri infallibili sensi di ragno, grazie ai quali individuiamo i Meri alle 12.00.

Giunti inequivocabilmente sul luogo, Giulio e Michele vanno ad armare il piccolo, mentre Luciano il grande.

Entro (sono Giulio) a gamba tesa nella narrazione di Silvana con questa elegante scrittura in corsivo per fare una nota su quello che abbiamo fatto. Con Michele ci mettiamo ad armare il mero piccolo per fare un po’ di esercizio e per preparare una seconda linea di uscita oltre alla calata libera del mero grande.

E’ pieno di alberi quindi partiamo spediti, un secondo albero viene eletto a primo punto di frazionamento subito oltre il bordo. Il pozzo è più appoggiato e a gradoni di quanto mi aspettassi guardandolo da fuori.

Continuo lungo la verticale ma mi rendo conto che la corda avrebbe toccato a breve quindi fraziono su di una grande clessidra. Riparto ma mentre mi guardo intorno mi rendo conto che la linea che ho scelto mi porta lontano dai due fix che vedo pronti per la partenza della seconda calata. Mentre mi interrogo sul da farsi Michele mi fa notare una serie di placchette da arrampicata posizionate un po’ più a monte quindi decido di risalire e armare quell’altra via. Dall’albero partiamo con un traverso fino ad una placchetta nuova nuova in corrispondenza di una calatina; è singola ma decidiamo che ce la facciamo andare bene perché si tratta di poco più di 2 metri completamente appoggiati. Camminando sulla cengia arrivo all’armo doppio della partenza verso il pozzo, gli armi sono stati inquietantemente posizionati su di un massone disgaggiato. Probabilmente inamovibile…probabilmente. Decido di ignorare quelle placchette e di usare un naturale ed una placchetta poco più in basso.

Durante tutto questo tempo Michele ha continuato a lamentarsi per il fatto che lo avessi fatto svegliare troppo presto lanciandomi continuamente manciate di sassolini addosso. Ci rendiamo conto che l’armo a cui stavo mirando è ESATTAMENTE nel punto in cui rimbalzano i sassolini come una monetina in un imbuto gravitazionale. Cerco una via di discesa alternativa ma senza il trapano non trovo nulla di utilizzabile. Decidiamo che il pozzo scarica troppo per poter scendere o salire da li tutti quanti ma io mi impunto per continuare ed arrivare alla finestra che dà sul pozzone. I miei desideri però si infrangono male quando arrivo all’armo e mi rendo conto che i fix sono da 10 e non ho comunque modo di procedere. Saluto la finestra da lontano e inizio a risalire disarmando. Sono talmente deluso che neanche vado a vedere la grotta della madonnina. Raggiungiamo gli altri all’ingresso dell’altro pozzo e per fortuna che la giornata è tutt’altro che finita.

Cedo nuovamente la parola alla nostra Selva.

Essendo la nostra prima volta in visita a questa grotta abbiamo certamente reinventato l’armo del mero grande; partendo un albero arretrato rispetto alla staccionata di protezione, si stacca un traverso che porta fino ad una famigliola di alberi, posta pochi metri più in là, su cui si esegue la partenza per la verticale.

Sfruttiamo un’altra malcapitata pianta, posta pochi metri più giù dalla prima e aggettante sulla grande bocca spalancata del Mero, per un frazionamento “alto” sul suo fusto. Scendiamo dritti fin quando possibile, fino ad arrivare su un doppio fix (il più basso dei due lavora male, manca della roccia a sostenerlo) da cui si stacca un piccolo pendolo, da proteggere, che ci pone perfettamente sugli attacchi della verticale della grande calata a tiro unico fino al fondo del pozzo, posti circa 3 metri più in basso e 2 metri a sinistra (dando la schiena al vuoto).

Sistemata la corda sul vuoto che incombe… pronti… respiro… respiro… oggi stavo tanto bene nel letto… Via! …Spettacolo!

Calandoci uno a uno, osserviamo l’affaccio del mero piccolo che si apre sul grande e più in basso l’ampia cengia dalla quale si vede l’arrivo del mero medio: si nota un traverso lasciato da qualcuno che gira sulla cengia per poi chiudersi oltre la nostra visuale.

Sul fondo alcune ossa animali e un cartello turistico perfettamente conservato ci informano senza ombra di dubbio di essere arrivati sul fondo del lungo pozzo da 86 mt.

Un cono detritico degrada verso un arrivo d’acqua e uno scalino di fango fossile. Dal basso il pozzo sembra composto di tre ampie aree sferiche sovrapposte, cosa che ci fa supporre una lenta erosione delle rocce, per l’arrivo di una cascata e della conseguente nebulizzazione. La luce va via via affievolendo dall’alto, così iniziamo una non troppo lenta risalita: devo dire che essere fuori dalla bocca di un simile drago è un gran sollievo!

Dopo esserci cambiati, tappa al simpatico e consigliato pub di Sant’Oreste, il “Crusciof”, con la mappa della Terra di Mezzo dipinta a soffitto che colloca il monte Soratte accanto al regno di Gondor.

Ringrazio nuovamente Silvana e Giulio per la vivace relazione ma ora tocca a me di nuovo a me! Anche se questa volta non ho potuto partecipare grazie a voi ho rivissuto con la memoria le molte discese nel Mero ed e’ stato comunque piacevole. Come sempre…alla prossima!

Informazioni su fato63

Pratico la speleologia da qualche anno ormai. Mi sono finalmente deciso a tenere un diario delle uscite. Approfitto del blog per renderlo consultabile e commentabile.
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