Con molto piacere ospito la relazione di Fabio accompagnata dalle foto scattate da vari partecipanti all’uscita e messe online da Giuseppe.

Dio li fa e poi li aggrotta, e allora eccomi qui, in prestito su Aggrottiamoci, per un breve racconto dalla Grotta degli Urli!
È la seconda uscita sotterranea del 63° corso dello Speleo Club Roma. Il ritrovo è alle 9.30 a Campocatino, cioè Guarcino, cioè Frosinone, in un parcheggio a 1800 m circa vicino al ristorante della signora Luciana (ci torneremo). Intorno a noi, si apre il paesaggio brullo dei Monti Ernici, ma si apre un po’ troppo, e infatti un venticello gelido inizia a soffiare ghiacciandoci schiene e sentimenti.


Gli allievi, al completo, sono Giuseppe, Leo, Luca, Patrizia, Arianna, Yassin e Marco; gli istruttori sono Max, Fabio B., Netta, Eleonora e Andrea. Flaminia ed io daremo una mano e siamo contenti così. Sistemate le tute, gli imbraghi e la ferrazza d’ordinanza, inizia pure a fioccare la neve; novembre, andiamo, è tempo d’ingrottar.


Io e Andrea precediamo il gruppo per armare la grotta, o meglio, lui arma e io fornisco supporto morale, un po’ di materiale, e qualche battuta non richiesta.
Sono anni che sento parlare della Grotta degli Urli, il vanto dello Speleo Club che la scoprì negli anni Ottanta, quando in grotta si scendeva indossando tute in lycra con spalline e sfoggiando, sotto ai caschi, mullet e chiome cotonate. (Non c’ero, ma mi piace immaginarli così).
La Grotta degli Urli scende fino a -610 m, si apre con un ingresso abbastanza comodo, un pozzo da 5 metri e, dopo un cunicolo strettino (ma dicono che negli anni si sia allargato) un altro pozzo da 7 metri. Ora, è normale sentirsi a disagio nelle strettoie, ma quando poi sei dentro scopri che è divertente, e che sì, hai fatto bene a perdere quei due chiletti. Insomma, alla Grotta degli Urli è meglio andarci prima delle pantagrueliche feste di Natale.

Striscia che ti striscia, io e Andrea raggiungiamo il pozzo del Canapone, un pozzo di 23 metri così chiamato perché vi trovarono una corda di canapa usata da un tale di Guarcino che aveva esplorato la cavità tempo addietro. La corda è ancora lì, e anche noi, e infatti il gruppo, che procede spedito, ci raggiunge. Max è in testa seguito da Luca, finiamo di armare e scendiamo: sotto al pozzo, nella sala del Legionario, l’occasione è perfetta per una prima sosta tutti assieme con photocall di rito.
Da lì, gambe in spalla: percorriamo a gruppetti l’ampia galleria Andrea Doria. È una camminata che scende di circa 200 metri di dislivello, ripida ma comoda: i fotografi ne approfittano e, davanti all’obiettivo, finiscono presto anche gli inquilini naturali del mondo ipogeo, tra i quali uno addormentato sul cavo del telefono. Meglio lasciarlo riposare.
Infine, approdiamo al maestoso Salone del Trentennale: una camera lunga 70 metri e alta 25, che percorriamo, aiutati da una corda, fino in fondo. Qualcuno scivola e scende a chiappe, ma tutto bene. Siamo a -230, è ora di pranzo, e ci concediamo panini, frutta secca e il famoso brodino con il famoso dado fatto personalmente dalla famosa Netta, e non c’è modo migliore per scaldarci l’anima.
Placata la panza, tocca rientrare; ci aspetta una salitella scocciagluteo niente male fino al p23 e non è il caso di perdere tempo. Io e Flaminia restiamo indietro per disarmare: stiamo ancora prendendo confidenza con gli attrezzi del mestiere e per questo disarmiamo lentamente. Va bene, diciamo che non siamo ancora i Marcell Jacobs della Speleologia, ma l’entusiasmo non ci manca, e questo è ciò che conta. Intanto gli altri, evidentemente bravi e veloci, presto ci distaccano ed escono. Quando infine usciamo anche noi, ci accoglie il silenzio di una notte serena e tiepida. In fondo, la Guarcino illuminata sembra un presepe.
Il gruppo ci ha aspettato al calduccio del ristorante di Luciana, che col suo buon cuore ha accettato di restare aperta: ci concediamo un meritato brindisi con il prugnolo fatto in casa da Giuseppe e poi, chi resta, un memorabile piatto di gnocchi e pasta e fagioli.
Sazi, stanchi e soddisfatti, capiamo che è tempo di far ritorno verso Roma; nel tepore dell’auto, si parla di prossime uscite, altre grotte, nuove avventure tutte per noi.
Fabio




























